Può sembrare uno scherzo, ma a quanto pare è proprio così. Da quando il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo di riordino delle tipologie contrattuali (Jobs act) recentemente trasmesso alle Camere, l’industria musicale è in subbuglio.

Scompare l’istituto che da anni regola le prestazioni dell’artista nei confronti del produttore e le case discografiche, alla scadenza dei prossimi contratti, temono di vedersi costrette ad assumere per legge i cantanti, compresi i personaggi più illustri del mondo della musica, e chissà a quale prezzo.

Ma andiamo per ordine.

Il rapporto tra artista e produttore

Il rapporto che regola le prestazioni dell’artista esecutore nei confronti del produttore fonografico, per la realizzazione di registrazioni sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, è tradizionalmente interpretato di associazione in partecipazione ai sensi dell’articolo 2549 ss. del codice civile, secondo cui l’associante (il produttore) attribuisce all’associato (l’artista) una partecipazione agli utili di un affare verso il corrispettivo di un determinato rapporto.

Il rapporto può anche avere durata pluriennale, ma la sua esecuzione impegna l’artista per periodi limitati di tempo ed è sempre caratterizzato dalla piena autonomia operativa dell’artista, prescindendo da qualsiasi vincolo di subordinazione e assoggettamento gerarchico, avendo ad oggetto non le modalità delle prestazioni, ma la resa di un risultato artistico apprezzabile.

La Legge Fornero

In tale quadro deve essere apparso da subito confliggente con la realtà del rapporto di lavoro fra produttori fonografici e prestatori d’opera artistica, quanto previsto dal comma 28 dell’art. 1 della Legge 99/2012, che aveva fissato la natura subordinata del rapporto di associazione in partecipazione in assenza di dati requisiti, tutti peraltro estranei dalla realtà del rapporto di lavoro artistico.

In particolare, la norma prevista dalla Legge Fornero disponeva che “Qualora l’apporto dell’associato consiste anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l’unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

Tale scenario normativo avrebbe prodotto una situazione paradossale per la quale un’azienda discografica sarebbe stata obbligata per legge ad assumere tutti i cantanti con cui aveva a che fare compresi big della musica come Vasco Rossi, Jovanotti, Claudio Baglioni, Zucchero ecc..

Alla luce di queste contraddizioni, il Legislatore è evidentemente dovuto ritornare sui suoi passi e con la Legge 99/2013 ha escluso dalle innovazioni normative del 2012 “il rapporto fra produttori e artisti, interpreti, esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni sonore, audiovisive o di sequenze di immagini  in movimento” (art. 2549, comma 3, ultimo periodo, del c.c.).

Il Jobs Act

A 18 mesi di distanza dall’ultima modifica normativa, con cui la problematica sembrava essere  stata positivamente risolta, con lo schema di decreto legislativo di riordino delle tipologie contrattuali l’istituto dell’associazione in partecipazione viene di fatto abrogato (art. 50 Superamento dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro), riproponendo per l’intera filiera musicale gli stessi problemi che si erano posti con la Legge Fornero sul tema dell’inquadramento tra produttore e artista, che non può certamente essere quello dell’assunzione a tempo indeterminato dei cantanti, almeno nella stragrande maggioranza dei casi.

Come uscire dall’impasse? Il provvedimento in questione è stato recentemente trasmesso in Parlamento ai fini dell’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti entro il prossimo 10 maggio. In realtà, è proprio in quella sede che la questione potrebbe essere approfondita. Ma attenzione, le Commissioni possono esprimere sullo schema di decreto in questione solo un parere non vincolante e, considerati i precedenti, c’è poco da sperare e aspettarsi che il governo apra a eventuali modifiche.

Ma figuriamoci. Non si è spostata una virgola né sulle tutele crescenti, né sul riordino degli ammortizzatori sociali, per quale motivo cambiare atteggiamento ora per risolvere una questione così particolare. Tutto può succedere per carità, ma la vedo dura. L’ipotesi più probabile è che produttori e artisti, alla scadenza dei contratti in essere, dovranno ricorrere a nuove tipologie contrattuali per disciplinare i loro rapporti, con buona pace di tutto il resto.

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