Viva il 25 aprile su Rai Uno è riuscito a farsi vedere per due ore da una media di 4 milioni di spettatori (share 17,26%) e, quel che più conta, il pubblico del sabato sera di Rai Uno, una volta assaggiato lo spettacolo non è rimbalzato altrove ma se ne è visto in media ben più di un terzo (pressappoco come accade ad Amici di Maria De Filippi, che pure è un programma tribale e fa della fedeltà degli spettatori il suo punto di forza).

Rispetto al sabato precedente (Senza parole guidato da Antonella Clerici) sono aumentati, e di parecchio, per Rai Uno gli spettatori maschi (un botto fra i più anziani, va da sé) e, non di poco, le femmine, tranne quelle in età di studio che, evidentemente, di sentire parlare di Storia al sabato sera non avevano voglia alcuna. La serata era a rischio data l’occasione di tipo celebrativo, la peggiore per gli ascolti, quale che ne sia l’oggetto, dalla Patria ai libri, dal David allo Strega. Aggiungi che il “mito” della Resistenza in Italia da sempre fa fatica a farsi senso comune. Basti osservare che anche stavolta il Sud, che pure resta il pilastro dell’ascolto di Rai Uno al sabato sera, non ha manifestato alcun entusiasmo per l’inusuale serata “patriottica e resistenziale”. Mentre il Nord ha avuto un evidente sussulto di attenzione. Aggiungete la frattura socio-culturale, per cui i laureati hanno triplicato le presenze mentre il popolo delle licenze elementari le ha contratte di un quinto.

In mezzo a tante variabili che tiravano da parti opposte, il “format Fazio” è riuscito ad ottenere un risultato tutt’altro che scontato. Il “format Fazio” consiste come è noto (lo vediamo settimanalmente in Che Tempo che fa) nel trattare le cose “grandi” dandogli del tu, e più sono grandi gli ospiti maggiore è l’effetto (per questo i premi Nobel abbondano. E a Sanremo partecipò perfino Gorbaciov). Ma i pubblici più vasti arrivano quando al contrasto fra il piccolo e il grande si aggiunge quello fra il banale e l’epico. E qui serve la forza del racconto.

Racconto che, anziché affabulatorio, può anche essere incarnato nella stessa struttura del programma come accadeva con Quelli che il calcio… (anni Novanta) grazie al divenire del plot che, tra svolte e giravolte delle sorti in campo, procedeva in direzione del lieto o cattivo fine delle partite. E non per caso, orfano dell’ormai dissolto pomeriggio calcistico, Fazio è entrato in rapporto con altri forti “raccontatori”. Quelli drammatici come Roberto Saviano (il di più di Vieni via con me, oltre alle liste) che ha narrato del generale polacco Anders, e Marco Paolini che (col robustissimo apporto di Elisabetta Salvatori) ha rivissuto la strage di Stazzema. E i narratori “di garbo” come Giuseppe Fiorello (col Bartali, corriere clandestino in soccorso dei concittadini ebrei) e Pif (col generale Patton, quello che impone lo scambio ineguale fra la jeep d’ordinanza e l’Alfa Romeo del nobiluomo siculo).

Al tirare delle somme, verrebbe da dire che sabato sera c’è stata una esercitazione sul campo di quello che converrebbe fosse il nocciolo del rapporto fra le istituzioni e il servizio pubblico televisivo. Non con le prime che impongono servitù (“Io pago io pretendo”) , ma col secondo, che badando a fare televisione, riesce perfino a restringere l’italico abisso fra Stato e Popolo.

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