E’ un magnetismo, un’attrazione, un richiamo ancestrale. Ti incammini per via Santa Maria Antesaecula, una viuzza che sbuca nella zona dei Vergini e avverti un’insolita euforia. E’ un riflesso condizionato. La poltiglia di racconti, aneddoti, e voci di popolo si palesano sottoforma di un’informazione secca: qui abitava Totò. Al civico 109 è ubicata al secondo piano l’abitazione dove visse il Principe. Sono anni che Liliana, la figlia di Totò vorrebbe istituirci un museo alla memoria. La burocrazia è burocrazia. C’è una targa e un busto che ricordano i natali e le gesta del grande artista partenopeo “Fu, qui nella via Santa Maria Antesecula, una delle più antiche strade della vecchia Napoli che il 15 -2- 1898 nacque il principe Antonio De Curtis–Il nostro Totò egli fu comico impareggiabile per la sua mimica. Uomo di nobili sentimenti, poeta insigne, fra quelli che l’Italia può contrapporre ai maggiori artisti del mondo”.

E il grande Totò – pensi – per forza in questo pezzo di città doveva nascere. Il rione Sanità è il cuore pulsante della Napoli antica, quella fuori le mura: caotica e contraddittoria. Epoche stratificate, multitudini di popoli, razze, culture, usi, costumi. Un’umanità che trabocca energie con le sue eterne contraddizioni, immersa nella saggezza e nella furbizia scugnizza. Storie sempre uguali a se stesse. Non è un territorio ma una dimensione dell’anima inquieta della città. A pochi metri proprio dalla casa De Curtis, abitava un santo e che santo: Alfonso Maria de’ Liguori, avvocato, letterato, poeta. Divenne sacerdote e si dedicò agli ammalati poveri. Nella sua umile dimora del rione Sanità compose due grandi capolavori Tu scendi dalle stelle e Quanno nascette Ninno.

Il rione Sanità è un clima, un’atmosfera, un modo di essere e stare al mondo. Tra le viuzze di questo rione, Totò plasmò la sua maschera di vita. “Un burattino i cui fili invisibili li muove Dio” è forse la definizione più vera e viva che descrive il genio di Totò. Lui non era solo un comico anzi forse erroneamente si marca troppo quest’aspetto del suo percorso artistico. C’è il Totò di Yvonne la Nuit di Giuseppe Amato, Risate di Gioia di Mario Monicelli, Dov’è la libertà di Roberto Rossellini, La Mandragola di Alberto Lattuada, Totò è Carolina di Mario Monicelli, Il comandante di Paolo Heusch, Il guappo di Vittorio De Sica (primo vero film anticamorra) senza dimenticare il periodo pasoliniano.

Il sipario calò definitivamente il 15 aprile del 1967, il principe morì nella sua casa di Roma. Tante sono leggende, le storie, i resoconti che narrano le sue ultime volontà. Quello che ho ascoltato più spesso è di un Totò che alle due di notte si svegliò e rivolgendosi al cardiologo disse “Professò, vi prego lasciatemi morire, fatelo per la stima che vi porto. Il dolore mi dilania, professò. Meglio la morte” e al cugino quasi implorando disse “Eduà, Eduà mi raccomando. Quella promessa: portami a Napoli“. Con oggi sono 48 anni che Totò non è morto. Sì, perché il Principe è vivo.

Lo scorso 13 agosto ero inchiodato a letto in una camera di ospedale. Ascoltavo nel cuore della notte, risate e battute pronunciate a memoria. Da un’unica televisione di una stanza davano, in un orario improbabile, un film in bianco e nero di Totò. Ecco, era come se i medici avessero somministrato ai degenti un analgesico collettivo. Un’intramuscolare di buon umore. Una dose di leggerezza e ottimismo. Miracolo in corsia! La sanità è in crisi, i disservizi sono forti ma Totò è Totò. Nella Basilica del Carmine oltre 200mila napoletani salutarono Totò per l’ultima volta, scene, emozioni, brividi rivissuti a gennaio con un altro grande artista che ci ha lasciato: Pino Daniele.

E dopo quasi mezzo secolo sono in tanti quelli che affollano in pellegrinaggio la cappella dov’è sepolto Antonio De Curtis: c’è chi chiede un aiuto, chi implora un miracolo, chi gli dice semplicemente “Grazie” e chi gli scrive: “Ci doni momenti felici e spensierati, tante lacrime di gioia guardando i tuoi film. Molte delle tue parole o espressioni le abbiamo fatte nostre“. Totò è stato ed è a Napoli come Eduardo De Filippo e Massimo Troisi. Maschere di una città che non dimentica.

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