I richiedenti asilo in Italia, nel giro di un anno, sono più che raddoppiati. L’aumento è stato del 143% dal 2013 al 2014. Il totale fa 64.600, una quota che vale il podio in tutta Europa: è l’incremento maggiore a confronto con gli altri Paesi europei. Sono i numeri dell’ultimo rapporto Eurostat, pubblicato il 20 marzo. Inarrivabile, secondo i dati, la Germania, con 202.700 domande d’asilo (un terzo del totale europeo), seguita dalla Svezia con 81.200. Dopo l’Italia, seguono Francia, con 62.800 (ossia il 10%) e Ungheria (42.800, il 7%).

“Siamo lontani dall’essere attrezzati – dichiara Christopher Hein, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) – e l’anno prossimo i numeri potrebbero essere ancora maggiori visto che solo nei primi due mesi del 2015 ci sono state 11mila richieste d’asilo”. La situazione, però, è molto migliorata rispetto al 2011, l’epoca dell’Emergenza Nord Africa, il fallimentare programma d’accoglienza per richiedenti asilo provenienti dalla Libia in piena guerra civile per abbattere il regime di Muammar Gheddafi. Rispetto ad allora, oggi il Viminale si è dotato di un Tavolo di coordinamento asilo e le Commissioni territoriali, gli organi ministeriali che valutano la proposta d’asilo, diventeranno 40, contro le 20 dell’epoca. I tempi per ottenere l’asilo politico o una forma di protezione sono decisivi: finché una persona è richiedente non può lasciare l’Italia né cercare lavoro per i primi sei mesi di permanenza. È costretta a rimanere parcheggiata nelle strutture d’accoglienza. A questo poi si aggiunge il potenziamento dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che oggi conta quasi 22 mila posti, mentre all’epoca ne aveva circa 3 mila. “Il Viminale vorrebbe arrivare a 40 mila posti, ma non c’è la copertura finanziaria”, aggiunge Hein. All’appello mancano 240 milioni di euro. Lo Sprar, così scrivono anche i funzionari del Ministero dell’Interno, è la risposta per uscire dai problemi dell’accoglienza rifugiati.

Chi non rientra nello Sprar o nei Cara, i Centri di accoglienza per richiedenti asilo, finisce in posti d’accoglienza “straordinari”. Oggi è la situazione in cui si trova circa il 52% dei richiedenti asilo. A differenza del sistema Sprar, che è gestito dagli enti locali e ha una rendicontazione molto precisa, il sistema straordinario è pagato dal Ministero con un forfait di 35 euro per ogni richiedente asilo accolto. Anche quando la struttura ne spende effettivamente molti meno. Il servizio è affidato in appalto e partecipano alla gara spesso residence, alberghi ed enti che nulla hanno a che fare con l’accoglienza. “Mantenendo bassa la qualità del servizio e risparmiando sul personale, sulla pulizia, sui servizi, si ottengono ampi margini di guadagno”, commenta Gianfranco Schiavone, membro del direttivo nazionale di Asgi (Associazione studi giuridici per l’immigrazione). Il sistema straordinario, quindi, costa di più e non garantisce il risultato di un’accoglienza degna. L’alta percentuale di posti in emergenza “dimostra quanto sia stato sottostimato il problema dell’accoglienza”, aggiunge Schiavone. E ad ogni arrivo dei migranti si paga il conto per questa lacuna.

Nei mesi dell’Emergenza Nord Africa, nel 2011, in pochissimi avevano avuto l’opportunità di cercare un lavoro. Il sistema d’inserimento non aveva funzionato. Questa volta, al Ministero del Lavoro sperano che possa andare diversamente: “Stiamo pianificando un programma nazionale per inserimento richiedenti e titolari di protezione – spiega il responsabile del Dipartimento immigrazione Natale Forlani – è la prima volta che ci preoccupiamo: i numeri sono importanti, di norma ci si fermava a 20-25 mila richieste d’asilo”. I rifugiati e titolari di protezione umanitaria toglieranno lavoro agli italiani? No, spiega Forlani, visto che la richiesta di lavoro per la manodopera straniera in Italia è di circa 1,2 milioni di posti di lavoro attivati (e circa altrettanti disattivati) all’anno. In questa quota “esiste uno spazio almeno teorico da riservare ai titolari di protezione umanitari”, assicura Forlani: circa 20 mila posti di lavoro. Numeri notevoli, ma un nulla a confronto con la Germania che ne attiva sette volte di più rispetto all’Italia.

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