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Processo Ruby: Berlusconi, i ‘peccati’ e la vergogna

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L’avvocato Coppi è un grande avvocato e ha ragione: “Un peccato non è un reato”. Infatti, qui più che di “burlesque” parliamo di storie “grotesque” (e scusate il francesismo).

Andare a prostitute o riceverle in casa propria – come nel caso accertato di Silvio Berlusconi – non è reato punito dal codice penale. E poi il primo processo è finito con l’assoluzione dell’ex presidente del consiglio, ex cavaliere ed ex imputato.

Dunque parliamo di peccati di un 80enne e di vergogna che qui non è quasi mai oggetto di dibattito pubblico; questo è il punto. Credo che la comunità – parola antica, lo so, ma non ne esiste un’altra – non dovrebbe lasciare né ai soli Cinque Stelle né ai vescovi l’esclusività di questa discussione. Monsignor Nunzio Galantino (segretario Cei) oggi lo ha detto: “La legge arriva fino ad un certo punto, ma il dato morale è altro”.

Il giurista Coppi e il prelato Galantino hanno ragione. Dunque, in attesa del prossimo processo sul serial Ruby, mettiamo da parte il codice penale e parliamo laicamente di peccati.

La cronaca quotidiana, anche lontana da Berlusconi, ci aiuta.

Prendiamo il caso, piccolo, poco “burlesque” e marginale, dell’onorevole Lello Di Gioia, foggiano. Lui non è indagato, ma avrebbe fatto questo: un cittadino della sua città ha subito, insieme a centinaia di altri clienti di una banca, la rapina nel caveau dove erano custodite le cassette di sicurezza. Seguendo e intercettando i rapinatori sospettati, la polizia ascolta la conversazione di un bandito con il (futuro) onorevole. Di Gioia conosce qualcuno che sta nel “giro criminale” e chiede – per conto del derubato – la restituzione della cassetta al suo conoscente. Dietro pagamento di denaro, ovviamente. Chiede e ottiene. Lui a Foggia è un potente e aggira la legge. Fa un favore a un suo amico, certamente suo futuro elettore, e previene indagini e processi. Lo fa “a prescindere….”. Senza vergogna e al di qua della legge scritta.

L’onorevole Di Gioia è (quasi) certo che resterà impunito, perché così avviene nella realtà e fuori dai tribunali. Non avrà biasimo sociale, intorno, ma anzi e probabilmente più consenso. Anche in questo caso, scommetto che – anche se non indagato – Di Gioia non si dimetterà mai dalla Camera dei deputati, né alcuno glielo chiederà. Perché usare la propria influenza per “peccare” non è un reato previsto dalla legge, appunto. E non c’è vergogna.

Il punto è che da Andreotti in poi tutto è penale e nulla è “peccato”, nei comportamenti di un uomo pubblico italiano, dall’onorevole Di Gioia fino a Berlusconi. Andare a messa e confessarsi, uscire dalla Chiesa e rifarlo oppure essere assolto in un’aula di tribunale è una pratica che prescinde dalla vergogna personale nei comportamenti pubblici.

Coppi è un grande avvocato e infatti difende bene i suoi clienti, ma anche lui – perfino durante l’arringa conclusiva in cassazione – ha preso le distanze personali da Berlusconi. Lo ha fatto anche quando ha parlato della famosa telefonata, nel maggio 2010, tra l’allora premier Berlusconi e il funzionario della questura di Milano. Quella per chiedere la scarcerazione della “nipote di Mubarak” fermata per furto. Un peccatuccio e una panzana clamorosa.

Lo stesso funzionario non ci credeva, ma – ha ragione Coppi – ha “obbedito” e scarcerato Ruby immediatamente perché era il presidente del consiglio che glielo aveva chiesto. E come si fa a negare un favore a un potente di quella portata? Anche questo non è un reato ma una “prassi”: non si dice no a un presidente del consiglio senza vergogna. E questo è il confine che i giudici non debbono né possono mai superare. La legge scritta, infatti, non si occupa del pudore. Ma la politica e la “comunità” dovrebbe iniziare a farlo.

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