Emolumenti gonfiati e nomi noti alla politica milanese fin dalla Prima Repubblica. Nonostante il cambio di vertice ormai di un anno fa alla Fondazione Stelline, uno degli enti più importanti della Milano della cultura, la storia è sempre la stessa. Tutto comincia con la segnalazione di un dipendente: il consiglio d’amministrazione per dieci anni ha gestito irregolarmente le casse dell’ente. Lo testimonia anche la nota allegata al bilancio del 2009: il collegio dei sindaci si è rifiutato di approvarlo. Gli emolumenti del presidente e dei membri del Cda non rispettavano i limiti imposti dalla legge regionale 63/82 in vigore nel periodo: il tetto massimo era 1.032 euro all’anno a testa, 8.264 per tutti gli otto membri del Consiglio di amministrazione, nominato per metà dal Comune e per metà da Regione Lombardia (nella foto). Eppure nel bilancio 2009 il Cda portava da 54 mila a ben 111mila euro gli emolumenti previsti per i consiglieri, arrivando a deliberare, nel decennio 2000-2010, circa 440mila euro di emolumenti quando il totale massimo sarebbe stato di appena 82mila euro.

L’intraprendenza del Consiglio nel trasformare un indennità di carica, un rimborso spese, in un vero e proprio stipendio sembra essere cresciuta gradualmente nel tempo. Già nel 2008 il rimborso di 54 mila euro superava di ben 6 volte il massimo previsto dalla legge. Quando a luglio 2008 la legge regionale 63/82 è stata abrogata, il Consiglio deve aver pensato di poter ulteriormente raddoppiare quella cifra senza che nessuno se ne accorgesse. Di ben diversa opinione però era il collegio dei revisori, che nel valutare la decisione del consiglio ha anche chiesto un parere allo Studio Legale Amministrativi Associati, che a sua volta ha nettamente escluso “la possibilità di colmare il vuoto normativo mediante l’intervento dei soli organi interni della Fondazione”. Insomma, l’abrogazione della legge regionale non può essere una scusa per agire in totale deregulation.

Chi ha segnalato le irregolarità alla Fondazione Stelline ha perso il suo impiego. La causa di lavoro però non può cancellare la nota al bilancio del 2009. La Fondazione dal canto suo si rifiuta di commentare: “Ci sono gli atti ufficiali che ci danno ragione, non vogliamo aggiungere altro”, fanno sapere dall’ufficio stampa. Nemmeno la nuova presidente Pier Carla Del Piano è interessata a tornare sulla vicenda. E’ subentrata il 27 febbraio 2013 a Camillo Fornasieri, che oggi è solo un semplice consigliere.

Fornasieri, ciellino doc, è presidente del CmC, il Centro culturale di Milano, associazione della Compagnia delle Opere e dal 2000 è presente nel Cda della Fondazione Stelline. Del Piano invece, di nomina Pd, è anche responsabile comunicazione della Fiera di Milano, altro ente storicamente molto vicino a Comunione e Liberazione.

Una squadra di ferro quella della Fondazione, che non vacilla neppure quando le le carte saltano fuori. Durante l’estate del 2014 il consigliere regionale 5 stelle Eugenio Casalino, dopo aver ricevuto il dossier sugli emolumenti gonfiati, aveva provato a fare chiarezza su quanto era successo alle Stelline. In fondo i soldi della Fondazione appartengono al pubblico: anche nel 2013 Regione e Comune hanno erogato nelle sue casse 400mila euro a testa.

La risposta della Regione Lombardia all’interrogazione del consigliere 5 stelle è ancora più sconcertante dello stesso illecito contestato: secondo la Regione, che cita lo statuto aggiornato nel 2012 dalla Fondazione, “gli emolumenti corrisposti negli anni dal 2000 al 2010 [sono] da ricondurre alla sfera discrezionale della fondazione”. La Regione rinuncia quindi ad applicare le sue stesse leggi nel caso delle Stelline, ma soprattutto sembra adottare uno Statuto approvato nel 2012 come guida a comportamenti avvenuti nel decennio precedente.

La Fondazione Stelline dispone di uno dei patrimoni immobiliari più prestigiosi della città. Tra i suoi gioielli c’è il Palazzo delle Stelline, in corso Magenta 61. Oggi la struttura è dedicata ad un albergo, gestito dalla srl Gsa (Gestione servizi alberghieri). La società serve ancora oggi a gestire l’albergo di proprietà della Fondazione. La srl è stata molto criticata dai membri di minoranza del vecchio cda, perché l’affitto portava nelle casse circa 500mila euro all’anno. Dalla costituzione negli anni Novanta, la srl ha sempre mantenuto lo stesso assetto societario: le quote sono divise al 50% tra Stefano Lunghi e Silvia Magliano. Il primo è figlio di uno storico dipendente della Fondazione, Mario Lunghi. La seconda è figlia di Alberto Magliano, ex dirigente dell’Amsa (l’azienda dei rifiuti milanese) che nel ‘94 prese 3 anni e 6 mesi di condanna per Tangentopoli. Tra i personaggi con un curriculum interessante legati alla srl, si trova il revisore dei conti Giuliano Sollima. Condivide lo studio legale di Paolo Sciumè, nome arcinoto alle cronache giudiziarie. Il partner di Sollima, infatti, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi per intestazione fittizia di beni nell’ambito del processo al banchiere Nicola Bravetti, fondatore del branch italiano della Banca Arner, dove anche Silvio Berlusconi ed Ennio Doris hanno depositato parte dei loro tesori.

di Lorenzo Bagnoli e Giulio Rubino
(IRPI – Investigative reporting project Italy)

@irpinvestigates

AGGIORNAMENTO:
In data 10 marzo 2015, l’avvocato Paolo Sciumè è stato assolto con sentenza della Corte d’Appello di Milano, seconda sezione penale

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