“I coloni di Catan” è uno dei miei tre giochi da tavolo preferiti. Gli altri due sono “Cherokee” e “Bang!”. Gli inventori dei tre giochi sono rispettivamente un tedesco (Klaus Teuber), un olandese (Fréderic Moyersoen) e un italiano (Emiliano Sciarra). Bang! è un piccolo ma appassionante gioco di ruolo ambientato nel Far West, in cui fuorilegge e sceriffi si fanno fuori a colpi di colt, risse nei saloon e scazzottate. “Cherokee” è un gioco di strategia ed escalation organizzativa, in cui sei tribù di indiani d’America si contendono le posizioni di vertice di una vera e propria piramide sociale. “I coloni di Catan” è infine un gioco di cosiddetta “gestione delle risorse”, in cui i concorrenti applicano le proprie mire espansionistiche al controllo di un’isola composta da terreni a forma esagonale, ognuno dei quali fornisce ai propri occupanti un certo ammontare di materie prime.

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A differenza di Monopoli, Risiko o di altri titoli in voga negli ultimi decenni del secolo scorso, in tutti questi giochi da tavolo del nuovo millennio il grado di coinvolgimento dei giocatori non è affidato semplicisticamente al lancio di un dado o all’estrazione di una carta (che avrebbero poi scatenato una serie di azioni più o meno deterministiche), ma è previsto che i partecipanti effettuino costantemente scelte discrezionali e irreversibili, abbinando alla sorte un equilibrato mix di strategia, spregiudicatezza, dissimulazione e altre attitudini del tutto speculari alle nostre prassi quotidiane. In Italia la tradizione dei giochi da tavolo non è altrettanto sviluppata quanto lo è nel Nord-Europa, dove a un clima più rigido del nostro è certamente ascrivibile il maggiore sviluppo di questa tradizione essenzialmente casalinga.

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Essendo tutti contraddistinti da un elevatissimo livello di competitività tra i giocatori, potrei quasi dire che questi ed altri giochi della cosiddetta “seconda generazione”, oltre a costituire un’eccellente palestra per la mente, rappresentano una sana e pacifica occasione per “scaricare a terra” quell’inevitabile propensione alla prevaricazione che ognuno di noi, in misura più o meno accentuata, possiede. Credo infatti sia meglio combattersi per gioco a suon di sparatorie fra indiani e cow-boy seduti intorno a un tavolo, piuttosto che pugnalarsi alle spalle scrivendo una mail da dietro a una scrivania…

Curiosamente, l’Ucraina è il terzo maggior esportatore di mais e il quinto di grano al mondo. Inoltre, con i suoi sconfinati appezzamenti di suolo scuro e ricco di sali minerali, l’Ucraina vanta oltre trenta milioni di ettari di terreno fertile ed arabile, pari a un terzo di tutta la superficie arabile europea. Nel gioco “i coloni di Catan”, un ipotetico appezzamento esagonale con queste caratteristiche avrebbe un valore pressoché inestimabile, soprattutto se posseduto da un altro territorio esagonale (non necessariamente adiacente) estremamente ricco di risorse energetiche. Man mano che i giocatori procedono nel gioco, incrementando la popolazione delle rispettive civiltà, l’approvvigionamento alimentare ed energetico diventa un fattore strategico determinante per non scivolare in fretta, su quel planisfero immaginario, nel ruolo di inutili comparse.

Scopo essenziale della guerra è la distruzione, non necessariamente di vite umane, ma di quanto viene prodotto dal lavoro degli uomini. La guerra è un modo per mandare in frantumi, scaraventare nella stratosfera, affondare negli abissi marini, materiali che altrimenti potrebbero essere usati per rendere le masse troppo agiate e, a lungo andare, troppo intelligenti. Anche quando gli armamenti non vengono distrutti, la loro produzione continua a essere un mezzo conveniente per utilizzare la forza lavoro per produrre nulla che sia possibile consumare. […] In linea di principio, lo sforzo bellico è pianificato in modo da divorare ogni bene eccedente i bisogni fondamentali della popolazione.
(da: “Teoria e prassi del collettivismo oligarchico” di Emmanuel Goldstein)

Tornando ai giochi da tavolo, ricordo infine che da qualche anno sta timidamente affacciandosi all’attenzione degli appassionati quella che si potrebbe definire come la “terza generazione” dei giochi di società, quella cioè dei cosiddetti giochi “cooperativi”: la loro caratteristica, certamente rivoluzionaria per questo settore, è che per la prima volta i giocatori smettono di competere fra loro per decretare un vincitore, ma cooperano tutti insieme contro… il gioco stesso. O, comunque, contro una minaccia condivisa. Due di questi giochi sono “Pandemia”, in cui i “cooperanti” (non possono più essere definiti “concorrenti”) si aiutano a vicenda per sconfiggere un virus letale che sta decimando la popolazione, e “L’isola proibita”, in cui i giocatori collaborano, scambiandosi informazioni e risorse, per recuperare quattro tesori nascosti prima che l’isola sprofondi negli abissi.

Chissà, oggi a Minsk, quale scatola apriranno.

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