Non solo “più tasse per i ricchi e più sgravi per la classe media. Nel bilancio di previsione per il 2016 che Barack Obama ha presentato lunedì al Congresso entra anche una stangata sui profitti realizzati offshore dalle aziende statunitensi. La proposta del presidente, azzoppato dal trionfo dei Repubblicani alle elezioni di midterm dello scorso novembre, si propone di chiudere la “scappatoia” che oggi permette a molte multinazionali di dribblare le imposte parcheggiando fondi oltreconfine. Secondo la Casa Bianca, i soldi detenuti all’estero da big come AppleGeneral Electric e Microsoft sono arrivati a superare quota 2mila miliardi di dollari. Un problema che riguarda entrambe le sponde dell’Oceano: basti pensare alla “fuga” in Olanda di Fiat Chrysler Automobiles dopo la fusione tra il Lingotto e il gruppo di Detroit e allo spostamento a Londra della sede di Lottomatica in seguito all’acquisizione della statunitense International game technology.

Dopo che lo scorso autunno il Tesoro ha varato nuove orme contro la tax inversion – cioè la possibilità, per le società Usa che si fondono con un’azienda straniera, di trasferirsi nel Paese della “preda” – intende ora affrontare il problema partendo dal fronte strettamente economico. Per prima cosa il presidente vuole imporre una tassa una tantum del 14% sulle somme accumulate negli anni fuori dai confini nazionali. Mentre in futuro le multinazionali che provano a fare lo stesso “giochetto” dovranno versare al fisco Usa il 19% dei guadagni realizzati. Un’aliquota comunque più bassa rispetto a quella ordinaria, che è al 35%. Ciliegina sulla torta, il gettito derivante dall’aliquota una tantum dovrebbe essere utilizzato per finanziare l’Highway Trust Fund, ente federale che si occupa della costruzione e manutenzione di infrastrutture e opere pubbliche. Mossa che dovrebbe convincere anche gli esponenti del partito repubblicano a sostenere la stangata ai big di Wall Street.

Va detto che, secondo la maggior parte degli analisti, le proposte di Obama hanno ormai scarsa probabilità di tradursi in legge, vista la debolezza dei Dem al Congresso. Obiettivo del presidente sarebbe insomma, più che ottenere qualcosa di concreto di qui alla fine del mandato, delineare l’agenda dei futuri candidati democratici alle presidenziali del 2016. Eppure le reazioni dimostrano che di una svolta in direzione di una maggiore equità fiscale – che passa anche attraverso provvedimenti severi contro chi eludeil Paese, ormai uscito dalla recessione e di nuovo in forte crescita, sente il bisogno. Per esempio secondo Ted M. Truman, economista del Peterson institute for international economics di Washington, “la riforma della tassazione è ormai una questione chiave per gli Usa, potrebbe essere combinata con la proposta di Obama e sarebbe un passo nella giusta direzione, una transizione a un sistema fiscale migliore”. Non solo: l’idea dell’una tantum “potrebbe essere il primo passo di un negoziato per una riforma complessiva della tassazione sulle aziende” su cui maggioranza repubblicana e amministrazione democratica potrebbero trovare un punto d’accordo. “La questione della riforma del sistema fiscale è bipartisan, quindi è un’area in cui potrebbe esserci del lavoro congiunto”. Inoltre le resistenze potrebbero essere ridotte “visto che la tassazione andrebbe a toccare i profitti fatti all’estero”.

Peraltro il nodo della tassazione dei profitti delle aziende è al centro di un dibattito internazionale sul quale il G20 ha dato mandato all’Ocse di formulare proposte “universali”. E in dicembre, dopo lo scandalo LuxLeaks, il Consiglio dei ministri economici dei 28 Paesi Ue ha modificato la direttiva in materia per chiudere i buchi legislativi che permettono alle multinazionali di pagare meno del dovuto beneficiando di norme mirate, in origine, solo ad evitare la doppia imposizione.

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