Rigore morale, schiena dritta, conoscenza profonda delle leggi e dei meccanismi istituzionali, rispetto dello Stato, una concezione del ruolo pubblico e istituzionale come una vera e propria vocazione che costringe al rispetto verso qualcosa di sacro: il bene comune, il corpo dei cittadini e delle norme che ne garantiscono un’esistenza libera e democratica. Tutto questo è Sergio Mattarella, il nuovo presidente di cui tutti i commentatori e cronisti hanno celebrato l’etica robusta, oltre che uno stile di vita sobrio e riservato come si adirebbe a un politico veramente consapevole della delicatezza del ruolo che ricopre e anche dell’onore rappresentato dall’essere chiamato a ricoprire cariche istituzionali.
Ed ecco, mentre vedevo le penne agitarsi in tanti elogi mi domandavo se quei commentatori e cronisti stessero minimamente provando i medesimi sentimenti che ho avvertito durante l’elezione di questo presidente: da un lato, certo, il sollievo di avere almeno una figura di calibro, specie rispetto alla grottesca girandola di nomi girata nei giorni precedenti; dall’altro, un infinito sconforto nel vedere come la Terza repubblica, per tenersi in piedi, abbia bisogno di riesumare un uomo, per quanto nobile, della prima. Come se, chiamata a scegliere chi dovrà guidarla per i prossimi sette anni, non avesse trovato dentro di sé nessuna personalità di quel rango.
E infatti a scorrerli tutti gli uomini della seconda repubblica, i Finocchiaro e i Veltroni, i D’Alema e Bersani, i Rutelli e i Casini. gli Schifani e i Letta, i Bossi, i Maroni, e via dicendo si intuisce che tra di loro ben difficilmente si sarebbe potuto trovare qualcuno – Prodi a parte, accuratamente messo da parte – veramente portatore di quelle qualità etiche che – in teoria – occorrerebbero a tutta la classe politica ma in particolare al Presidente della Repubblica: quell’amore verso il bene comune, soprattutto, quella capacità di mettere se stessi da parte, figuriamoci, per porsi davvero a servizio dello Stato, anche a costo di dover sacrificare la propria carriera politica, se necessario.
Non va meglio, ovviamente, con la Terza Repubblica, dove all’assenza di queste qualità etiche – è la Repubblica del narcisismo politico per antonomasia – si aggiungono un’inconsistenza e una fragilità politiche e umane che rendono le figure del renzismo di terza generazione e delle larghe intese – dai Franceschini agli Orlando, dalle Boschi alle Madia, dalle Bonafé agli Alfano – ancora più inimmaginabili, e non solo per un fatto di età, in un ruolo come quello del Presidente. Ciò che è sparito dall’orizzonte è lo spessore culturale, anzitutto, dato da una profonda conoscenza non solo delle leggi ma dei principi etici che le ispirano, e insieme lo spesso etico, la profondità morale, e insieme ancora – scusate se mi ripeto – la concezione delle istituzioni come qualcosa di sacro, da servire, onorare, con rispetto e amore.
E allora eccola, per forza, la Terza Repubblica in ginocchio dalla prima. Nel panorama di cartapesta della politica mediatica, quando si tratta di scegliere il ruolo di guida morale e politica della nazione bisogna tornare indietro. Ripescare un democristiano, aggrapparsi a lui con la disperazione di chi non saprebbe, viceversa, dove andare. Forse, non c’è poi così tanto da festeggiare.