Il placebo è più efficace del principio attivo e non c’è miglioramento se la terapia non è accompagnata da un comportamento di cura. Da sempre la validità di molti farmaci viene valutata attraverso una procedura detta a doppio cieco, per escludere che l’utilità di un principio attivo sia solo legata al suo effetto placebo. Oggi si cerca di studiare la “validità” dell’effetto placebo in sé, di capirne meglio i meccanismi.

Studi recenti (F. Benedetti) evidenziano per esempio che nella terapia del dolore, un farmaco produce lo stesso effetto di una manovra placebo. Messe a confronto graficamente le due reazioni (al farmaco e al placebo), sono molto simili, la differenza sta nell’intensità e nella durata dell’effetto: il placebo da solo, sembra per esempio migliorare il dolore per un periodo di tempo più breve rispetto al farmaco.

L’aspetto interessante che è emerso da questi studi, è che mentre una manovra placebo è in grado, da sola, di avere un effetto, non vale la stessa cosa per il farmaco se il paziente non sa di assumerlo. Se infatti un paziente in condizioni di ricovero, viene sottoposto alla terapia del dolore attraverso la somministrazione fatta da un computer che decide quando somministrare il farmaco, il paziente non presenta reazioni di abbassamento del dolore, né prima, né durante, né dopo la somministrazione del farmaco. Diversamente nello stesso esperimento effettuato con un farmaco somministrato in condizioni “placebo” (cioè somministrato da un infermiere, con atteggiamenti di cura), la caduta del sintomo è veloce e immediata.

Dunque gli effetti di accudimento e cura sono più importanti di quelli chimici? Non è tanto l’essere curato ma il “sentirsi curato” che fa la differenza? E’ atteggiamento comune considerare il paziente che reagisce al non farmaco quasi un suggestionabile sciocco perché migliora senza una vera medicina, solo perché “crede di essere curato”.

Ma se, come dimostrano gli studi sull’attaccamento (Bowlby, Ainsworth,..), gli esseri umani hanno una predisposizione primaria ad instaurare legami affettivi la cui funzione è quella di mantenere la vicinanza di una figura rassicurante e protettiva nei momenti in cui ci si sente vulnerabili, il paziente “placebo” non fa altro che essere coerente con questa verità. La malattia è una condizione di vulnerabilità e sapere di poter contare sull’accudimento e la cura da parte di figure di riferimento affidabili per esempio il medico o il terapeuta, fa una grande differenza.

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