Il Miglio sfida la Mela. Arriva infatti “Mi Note”, lo smartphone-ammiraglia di Xiaomi – “miglio”, appunto – il produttore di telefonini cinese, terzo nella classifica mondiale, che lancia così la sfida a iPhone e Samsung.

Al momento della presentazione, è stato lo stesso amministratore delegato Lei Jun a dilungarsi nei paragoni con Apple. Il nuovo aggeggio costa un terzo dell’iPhone 6 Plus (2.299 yuan, cioè 320 euro, per un modello con 16 gigabyte di memoria) ed è forse proprio questo uno dei segreti della “Apple cinese”, così come è stata soprannominata la società di Pechino, che ha venduto il suo primo smartphone solo tre anni fa e che lo scorso dicembre ha raggiunto la valutazione di 45 miliardi di dollari dopo avere rastrellato 1,1 miliardi in una raccolta fondi che l’ha trasformata nella più ricca start-up tecnologica del mondo.

I costi contenuti sono dovuti al fatto che Xiaomi vende telefonini ai prezzi di fabbrica, mentre guadagna dai servizi collegati. O almeno, questo è quanto dichiara da sempre Lei Jun: “Non chiamateci Apple cinese – diceva nell’estate del 2013 – noi siamo più simili ad Amazon con qualche aspetto di Google”. Quindi aggiungeva: “È internet che ha creato Xiaomi”.

Il concetto è semplice: la società di Pechino non guadagnerebbe dall’hardware e i telefonini sono considerati come il Kindle di Amazon: un semplice vettore per accedere all’ecosistema Xiaomi, cioè una piattaforma internet ricca di servizi. E sono proprio quelli a creare profitto.

L’ecosistema è incentrato su MIUI, il sistema operativo targato Android che è liberamente scaricabile e utilizzabile anche da altri produttori di telefonini.
Questo è il punto chiave: a differenza del sistema “chiuso” Apple, con MIUI installato, qualsiasi possessore di telefonino che funziona con Android può accedere a servizi e prodotti disponibili su App.mi.com (applicazioni) e Mi.com, il sito di ecommerce di Xiaomi, che è terzo nella classifica cinese e vende oltre un migliaio di articoli.
Più simile a Microsoft, in questo caso, che alla Mela.

Eppure Xiaomi, come Apple, vende anche e soprattutto hardware ed è dai telefonini che trae i profitti maggiori. Ha piazzato più di 61 milioni di cellulari nel 2014, con una crescita del 227 per cento rispetto all’anno precedente e con ricavi di 74,3 miliardi di yuan (oltre 10 miliardi di euro). Quanto al resto dell’offerta, con il nuovo Mi Note si potranno comandare a distanza gli altri device elettronici di marca Xiaomi, come lavatrici, purificatori dell’aria (piuttosto appetibili oltre Muraglia) e videocamere di sorveglianza.

Diciamo quindi che la società del “piccolo riso” non è né Apple, né Google, né Microsoft, né Amazon. È una via di mezzo tra tutte e quattro, frutto di un geniale reverse engineering “secondo caratteristiche cinesi”: il processo per cui si copia tecnologia altrui, la si adatta alle condizioni locali e poi la si riesporta modificata come “innovazione domestica” (zizhu chuangxin in cinese, termine che mette l’accento sul concetto di “autonomia” del genio incorporato nel prodotto).

Ora, voci di corridoio dicono che la compagnia è anche in trattative con Facebook per un’eventuale unione di forze. Per il social network si potrebbe trattare dell’ennesimo gioco di sponda per tentare lo sbarco in Cina, dove è da anni oscurato; per Xiaomi, forse, la strategia ad ampio respiro di incorporare anche il mondo dei social network nella propria offerta così diversificata.

Il miglio vuole essere tutto. E intanto presenta Mi Note, “più corto, più sottile e leggero rispetto all’iPhone”, come ha proclamato Lei di fronte a un migliaio di fans dello smartphone made in Beijing.

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