Un debito di oltre 67 milioni di euro e un migliaio di soci che rischiano di perdere la casa e i risparmi affidati alla cooperativa sotto forma di prestito sociale. Dopo più di quarant’anni di attività a Fidenza, nel parmense, finisce gambe all’aria un’altra cooperativa. La terza dopo le Coop Operaie di Trieste e la Cooperativa Carnica di Amaro (Udine), che però ora stanno cercando un accordo con i creditori. Mentre per la coop Giuseppe Di Vittorio, fondata nel 1970 con lo scopo di realizzare abitazioni di proprietà indivisa (una specie di affitto permanente a canone agevolato riservato ai soci), il verdetto è già scritto: fallimento. Dichiarato il 29 dicembre dal Tribunale di Parma, che ha respinto la richiesta di ammissione al concordato preventivo presentata nel 2013. A motivare la decisione, i contenuti pesantissimi della relazione del commissario giudiziale Paolo Capretti, che esaminando i conti si è trovato davanti una montagna di debiti, perdite mai registrate nei bilanci e un patrimonio netto negativo per 14,9 milioni contro i 4 milioni (positivi) dichiarati.

Ipotesi di falso in bilancio per 19 milioni – L’ipotesi di reato, nell’esposto da lui presentato in Procura, è di un falso in bilancio da quasi 19 milioni. Dalla relazione risulta che lo squilibrio tra attivo e passivo era in essere dal 2008, quando la cooperativa, attraverso società partecipate, ha allargato il campo d’azione all’edilizia privata e ai servizi sociali, culturali e sanitari. Il commissario rileva che già al tempo “l’attivo circolante, al netto delle giacenze, risultava insufficiente a fronteggiare anche solo minimamente le passività a breve termine”. Ma di questa situazione non sono stati informati i 650 soci prestatori, che in questi anni hanno finanziato con i propri risparmi per oltre 12 milioni di euro gli investimenti della cooperativa, e le 485 famiglie che abitano negli appartamenti costruiti a Fidenza, Parma, Salsomaggiore, Fornovo, Noceto, Fontevivo e Fontanellato. Nessuna comunicazione, anche se i soci prestatori erano diventati insieme alle banche le uniche fonti di finanziamento alla cooperativa. Che, scrive il commissario, “non godeva pertanto di alcuna indipendenza finanziaria”. Ai soci il sentore della crisi arriva soltanto nel 2012, con una missiva in cui si preannuncia la burrasca avvertendo che i fondi sono esauriti. Seguono aumenti dei canoni di locazione, messa in vendita di immobili e riduzione degli stipendi dei dipendenti per risolvere il problema della mancanza di risorse. A dare il colpo di grazia ci ha pensato la crisi immobiliare, unita a investimenti sbagliati che hanno drenato risorse dal ramo di vocazione della coop. 

Il commissario giudiziale Paolo Capretti si è trovato davanti perdite mai registrate nei bilanci e un patrimonio netto negativo per 14,9 milioni 

Il ruolo degli enti locali e i legami con la politica – “Ma gli investimenti – spiega Franco Montali, che presiede il comitato nato dopo la crisi per la salvaguardia dei soci – sono spesso stati caldeggiati anche dalle amministrazioni”. La politica dentro la cooperativa c’è e non è nemmeno così nascosta. Nei cda che si sono susseguiti alla guida della Di Vittorio figurano i nomi di amministratori ed ex amministratori del centrosinistra del parmense, dall’attuale primo cittadino di Fidenza Andrea Massari, nel direttivo fino agli inizi del 2006, agli ex sindaci di Busseto e Salsomaggiore. Così come sono tanti i progetti e gli investimenti realizzati in collaborazione con le giunte dei Comuni del territorio. L’opposizione fidentina ha chiesto proprio al sindaco Massari un consiglio monotematico sul caso, chiedendo di fare chiarezza. “Alla luce di questo legame l’amministrazione deve ancora di più sentirsi in dovere di spiegare ai cittadini cosa sta succedendo – spiega Francesca Gambarini, capogruppo Fi a Fidenza -Questa commistione fra amministrazioni, politica, cooperative e ingerenze imprenditoriali in ambiti non propri va spezzata al più presto”.

Alcuni soci sono riusciti a salvare i propri risparmi prima che venisse chiesto il concordato. Nonostante formalmente fossero congelati

Il giallo dei soci rimborsati prima del crac – A guardare bene, ci sono anche altri fatti che non tornano. Perché alcuni soci, a differenza degli altri, sono riusciti a salvare i propri risparmi prima che venisse chiesto il concordato: formalmente i conti e i depositi degli iscritti sono congelati 2012, quando in molti percependo lo stato di crisi avevano cominciato a chiedere di ritirare le somme, ma un centinaio di persone ha riottenuto quanto versato, giusto prima che la nave affondasse. Ora però anche gli altri vogliono vederci chiaro: “I soci devono essere tutti tutelati, sia gli assegnatari dei 485 alloggi, sia coloro che hanno messo a disposizione il proprio denaro”, continua Montali. In discussione c’è anche il rapporto con le banche, che secondo il comitato nel crollo della cooperativa sono state le più tutelate.

I sindaci devono accollarsi parte del debito. Ma le ipoteche potrebbero non essere valide – A salvaguardare i 2.720 soci ora ci penseranno i due curatori fallimentari Paolo Capretti e Luciano Ragone e i sindaci dei Comuni coinvolti, che per legge dovrebbero subentrare alla cooperativa e che hanno assicurato il proprio impegno per garantire il diritto alla casa delle famiglie coinvolte. Questo però per loro potrebbe significare anche accollarsi una parte del debito: 16,5 milioni di euro di ipoteche e oneri in essere. Ma sul tavolo c’è anche la possibilità che le ipoteche risultino non valide, perché la Di Vittorio, non rispettando la convenzione con le amministrazioni, aveva ipotecato gli alloggi per accedere a un prestito di 10,5 milioni euro concesso da Monte dei Paschi e Carige. I soldi formalmente avrebbero dovuto essere investiti nella costruzione di altri immobili, ma sarebbero stati utilizzati invece per rifinanziare un debito con Carige e per altre operazioni. Irregolarità che lasciano margini di trattativa anche sugli obblighi delle amministrazioni garanti.

La Di Vittorio, infrangendo la convenzione con le amministrazioni, ha ipotecato le case per ottenere un prestito da Monte dei Paschi e Carige

Il cuore del problema è la gestione disinvolta del prestito sociale – Resta il fatto che si tratta del terzo crac dopo quello di Coop Operaie, l’1 dicembre è stata ammessa al concordato preventivo, e di Coop carnica, in attesa del pronunciamento del tribunale sulla richiesta di concordato presentata a novembre. Nel primo caso, a portare sull’orlo del fallimento la cooperativa con 17mila soci sono stati anni di mala gestione e trucchi di bilancio per abbellire i conti. La “cugina” carnica è invece stata travolta dalla corsa agli sportelli scattata dopo quel caso: in pochi giorni un nutrito numero dei suoi 10.400 soci ha chiesto indietro i propri soldi, facendone sbandare i conti già indeboliti. Ma il fatto stesso di dover far riferimento, parlando di una coop, a un fenomeno – la “corsa agli sportelli” – che tipicamente riguarda le banche, fa capire qual è il fulcro del problema e il minimo comune denominatore di queste crisi: il fenomeno dei prestiti sociali, che per l’universo delle coop italiane vale quasi 11 miliardi ma non è tutelato da adeguati fondi di garanzia né soggetto alla regolamentazione della Banca d’Italia. Che, dopo lo scoppio del bubbone, ha fatto però sapere con una nota di aver ricevuto nel corso del 2014 “due segnalazioni su possibili violazioni delle disposizioni in materia di esercizio abusivo dell’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico” e di aver “interessato tempestivamente l’autorità inquirente”, visto che si tratta di “un reato penale il cui accertamento e repressione sono affidati alla magistratura e alle forze di polizia”.

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