Ieri doveva essere la consacrazione nazionale di Pegida, il movimento di piazza contro l’islamizzazione nato a Dresda. La città prescelta per la prova di forza era, non a caso, Colonia, teatro nell’ottobre scorso di pesanti scontri tra opposte fazioni di hooligan e salafiti. Un flop. All’appuntamento c’erano un drappello di neonazisti e qualche centinaio di cittadini, infuriati soprattutto con i politici e i media. Qui e là cartelli con slogan anti-islamici – “Patate invece che kebab”.

Ciò non toglie che l’attenzione concessa a questo fenomeno locale, per ora circoscritto ai Länder dell’est, sia motivata. Le preoccupazioni riguardano soprattutto il sospetto di apparentamenti con la destra radicale in tema di immigrazione, anche se, dal punto di vista organizzativo, i promotori si dichiarano autonomi dalle sigle neonaziste. Insomma, un fenomeno trasversale, in grado di conquistare simpatizzanti nell’elettorato di opinione conservatore e cattolico, soprattutto nelle regioni dell’est dove l’AfD (Alternativa per la Germania), il nuovo partito anti-euro e anti-immigrazione, ha raggiunto risultati elettorali a due cifre.

Ieri sera, a Dresda, erano pur sempre in diciottomila al consueto appuntamento. L’AfD è l’unico partito dell’establishment a guardare con simpatia ai dimostranti, che intanto hanno ottenuto l’effetto di polarizzare l’opinione pubblica, divisa fra chi non vuole colpevolizzare un intero movimento per sua natura trasversale e chi, invece, preferisce etichettarlo come un rigurgito razzista. L’acronimo Pegida sta per “Europei patriottici contro l’islamizzazione dell’Occidente”. Con questa sigla, il 20 ottobre scorso, un comitato promotore chiamò a raccolta i cittadini di Dresda in difesa dell’identità giudaico-cristiana dell’Europa. Duemila persone risposero in quell’occasione all’appello. Da allora, il sit-in è diventato un appuntamento abituale. Tutte le settimane, ogni lunedì, i simpatizzanti del movimento hanno continuato a radunarsi in piazza con slogan che ricalcano quelli di venticinque anni fa, quando la pressione della piazza nella Germania dell’est fece implodere la Ddr.

Oggi come allora, a Dresda, la gente urla Wir sind das Volk, “noi siamo il popolo”, per marcare il distacco dai governanti. Il loro numero è aumentato fino a sfiorare in poco tempo ventimila persone. Il caso da locale è diventato nazionale e comincia a far parlare di sé anche oltre confine. Manifestazioni analoghe ormai vengono replicate anche in altre città, anche se con minor successo. Quella di Colonia doveva essere per l’appunto il salto decisivo. Per il momento non è stato così, anche se le attese della vigilia erano tante. A Berlino, ieri sera, solo in 450 hanno risposto all’appello pro-Pegida.

Una vigilia tesissima. Persino la cancelliera è scesa in campo. Nel discorso di fine anno Angela Merkel ha ammonito a non seguire gli appelli dei promotori di Pegida, perché “carichi di odio nel cuore”. Il sindaco di Colonia ha chiamato i concittadini al boicottaggio e anche la Chiesa cattolica tedesca è stata costretta a intervenire, per via dei riferimenti dei promotori di Pegida alle radici cristiane dell’Europa. La reazione del presidente della Conferenza episcopale tedesca, il cardinale Reinhard Marx, non si è fatta attendere. “L’Occidente cristiano non ha nulla a che vedere con l’esclusione”. Anche la Chiesa evangelica, per bocca del presidente Bedford-Strohm, ha parlato di “un abuso dell’etichetta di ‘cristiano'”.

Ieri, infine, ci si è messa anche la satira a infiammare gli animi. Nel pomeriggio un sito web ha diffuso la falsa notizia dell’annullamento del sit-in di Colonia per presunte divisioni interne, utilizzando ad arte la maschera grafica dello Spiegel online. In poche ore il fake era su tutti i social network, facendo infuriare gli organizzatori di Pegida. Il gesto più eclatante è stato quello del cardinale di Colonia Woelki che ha deciso di spegnere le consuete luci che di notte illuminano il Duomo. Alla fine, il bilancio è positivo solo per le numerose iniziative contro la xenofobia che si sono svolte in diverse città tedesche. Migliaia di persone sono scese in strada, nella stessa Colonia, a Stoccarda, a Berlino. Anche la Porta di Brandeburgo è stata oscurata.

Umori e orientamenti, fino a ieri confinati nella propaganda della destra radicale, oggi sono molto più diffusi di quanto si sia disposti a credere. Pegida non è solo la cassa di risonanza della paura verso una società sempre più multiculturale come quella tedesca. Pegida è soprattuto uno specchio dell’insicurezza sociale, della precarietà del lavoro, della separazione tra ricchi e poveri, degli anziani pensionati che non arrivano a fine mese – in una parola, del risentimento contro le élite. Accanto alla lotta all’islamismo, “ideologia politica violenta e ostile alle donne”, e alla tolleranza zero verso i migranti autori di reato, i promotori chiedono più democrazia diretta sul modello referendario svizzero. Il consenso plebiscitario ottenuto in questi anni da Angela Merkel ha distolto l’attenzione dalla crisi dei partiti tradizionali. L’apparizione improvvisa di Pegida sulla scena pubblica è il sintomo di un’insofferenza profonda tanto verso i politici, quanto nei confronti del “conformismo dei media”.

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