Odio parlare di me. Così come non sopporto il sempre più frequente atteggiamento di chi, per argomentare questioni di carattere generale, adduce elementi assolutamente particolari e auto referenziati (“A me è successo…”, “Io conosco qualcuno che…”, “Quella volta che mi ci sono trovato in mezzo…”, eccetera). Ma poiché credo che questa volta la mia vicenda personale – se non altro per la sua oggettiva anormalità – rappresenti essa stessa risposta alle sacrosante invettive della prof.ssa Signorelli, ho deciso di appoggiare serenamente la testa sul ceppo di legno…
Quando, nella colonna di noi blogger, compare il volto garbatamente arguto della gentile signora Amalia, mi frego sempre mentalmente le mani: finalmente nuovo cibo per la mente!
L’Italia di oggi ha quasi completamente smarrito la vergogna, sono d’accordissimo con lei. E le motivazioni che lei porta sono ovviamente anni luce distanti da considerazioni personali.
C’è solo una cosa, nel suo articolo, che per la prima volta me ne ha fatto interrompere la famelica lettura, per chiedermi se… non ci fosse anche qualcosa d’altro. E’ quando lei dice che “ questa sordità (ai richiami dell’etica, nda) è di tutti”. Poco dopo, lei domanda dove sia questa gente che invece, forse, da quell’orecchio ancora ci sente. Ecco ciò che mi ha lasciato un po’ spiazzato: lei ha implicitamente dedotto la loro inesistenza dalla loro invisibilità.
Per questo ho interrotto ciò che stavo facendo, per scriverle istintivamente questo pezzo, approfittando della mia posizione privilegiata di suo “collega” su questa testata e confidando – perché no? – in un ulteriore approfondimento da parte sua.
Quelle persone, gentilissima Amalia, esistono. Il problema, come lei stessa afferma, è che non hanno quasi mai modo di emergere, soffocate come sono da un sistema che fa di tutto per soffocarne il grido. Fortunatamente il giornale per cui entrambi scriviamo, e per il quale proclamo per la prima volta l’onore di poter collaborare, è ad esempio una virtuosissima eccezione.
Qualche giorno fa, un mio carissimo amico e ispiratore mi ha privatamente scritto che non ha senso convincere del “giusto” chi già pensa male di te, perché se anche si persuade, troverà poi un altro terreno su cui pensare male.
Io ho intenzionalmente mollato il mio lavoro e un decorosissimo stipendio quasi un anno fa, quando la disoccupazione sfiorava il 13% e quella giovanile punta come un treno a quota 50%. Sono un pazzo? Sono un visionario? Forse entrambe le cose. Ma ho deciso di non assecondare ulteriormente questa cultura dell’eccesso che, avendoci prima resi schiavi del dogma dell’accumulo incondizionato ad ogni costo, ci ha trasformato tutti in carnefici l’uno dell’altro. No, i valori di riferimento dovevano essere altri.
Ho deciso di smettere di starmene zitto. Ho fondato un progetto culturale divulgativo basato sui valori e sulle conoscenze che ormai in tantissimi mi riconoscono: Vivere Basso e Pensare Alto. Vivo a testa umilmente alta, ma vivo orgogliosamente vicino al suolo, cercando di testimoniare con la mia presunta intelligenza e la mia energia quell’imperioso sussulto valoriale di cui avrebbe secondo me bisogno la nostra società, ormai più gassosa che liquida. Organizzo e partecipo a workshop e convegni su Resilienza e Bioeconomia.
Vede? Da persona schiva e riservata quale sono sempre stata, ho deciso di alzare la voce. E, come me, tanti altri lo stanno facendo. Non sono affetto da delirio di onnipotenza, lo dico subito per smontare gli inevitabili attacchi dei soliti babbuassi (come li definiva Nietzsche). Non sono uno spirito danzante, ma solo libero. Sono un semplice appassionato di bioeconomia e di organizzazione, con qualche dote comunicativa, che ha deciso di spendersi in prima persona nel tentativo di sensibilizzare qualche coscienza. Nel farlo, ho magicamente scoperto come le orecchie pronte ad ascoltarmi siano invece tantissime. E, oltre le orecchie, anche le mani. Di giovani ragazze e ragazzi che, senza che chiedessi nulla, si sono spontaneamente offerti di aiutarmi, scrivendo sul mio sito e muovendoci insieme nella direzione che riteniamo giusta.
Sembra solo una sbrodolata di retorica autocelebrativa, me ne rendo conto. Ma non è così. E’ invece la testimonianza che, anche in questo malconcio paese, le sementi di un nuovo impegno sociale ci sono e stanno fortunatamente attecchendo. E, sebbene inascoltati e vilipesi dalla squallida cultura mainstream, stanno anche germogliando, tra l’altro in patria (io non mi vergognerò mai di usare questo termine), per realizzare una prospettiva diversa.
Questo per fortuna avviene naturalmente anche a livello politico. Dove gli sforzi di qualcuno per cambiare radicalmente le cose sono davanti agli occhi di tutti. Anche se, concordo con lei, quel palinsesto di interessi privati e corporativi che ci trasciniamo dietro dal Piano Marshall, ci induce purtroppo a ignorarli. Se paradossalmente, in Italia, il 50% dei cittadini fossero radicalmente onesti, penso che una compagine parlamentare che sceglie di devolvere parte dello stipendio alla società civile sarebbe più che sufficiente per sgomberare il campo da ogni equivoco, assicurando a quella forza politica almeno il 50% dei consensi. Invece questo non avviene. Chiediamoci il perché. Ma confortiamoci però anche del fatto che un 25% c’è stato. Che qualcuno a provare vergogna, forse, ancora c’è.