C’è una cosa dell’abbattimento dell’ecomostro di Alimuri che ci restituisce un po’ di coraggio e di fiducia in un Paese armato a distruggerle ogni giorno. Nel pantano dei compromessi e degli scandali. Nella narrazione che media compiacenti fanno di istituzioni a volte sterili, altre guaste o peggio compromesse con malaffare e ignavia.

Quella nuvola di polvere che cancella un alveare di cemento indegno e ovviamente abusivo è l’esempio, un esempio, di uno Stato che torna a fare il proprio mestiere, nelle sue diramazioni istituzionali locali. Che trova il modo, il coraggio, di dare un senso a leggi e regolamenti. Ad un territorio e un paesaggio che non possono essere ostaggio di speculatori e scempi di ogni genere.

Portarci le scolaresche, ad assistere all’esplosione di cinquant’anni di omertà e inazione (tanto è servito per abbattere il mostro e vincere la guerra fredda di carte bollate e competenze) è farsi promotori di un rito collettivo utile al futuro, una cerimonia laica di contagiosa speranza coltivata negli occhi e nella memoria di chi sarà un giorno classe dirigente.

Ora si trovi il modo, il tempo, e la coerenza, di farne un punto di ripartenza. Un modello. Un segno. Una prima tappa di un lungo percorso per riconsegnare ai cittadini, alle comunità locali, interi pezzi di Paese sottratti al buon senso e alle regole. Così come ci chiede la Carta Costituzionale nel suo articolo 9. Ognuno faccia la sua parte, per il proprio pezzo di cittadinanza attiva che gli compete.

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