Sciopero generale!”
Quando Susanna Camusso pronuncia queste due parole sto in fondo a piazza San Giovanni, all’inizio di via Carlo Felice. Da qui si sente poco e le frasi arrivano spezzettate e confuse, ma quelle due parole le capiscono tutti. La piazza applaude. Il resto del discorso passa in secondo piano perché la maggior parte dei manifestanti è in strada per sentirsi dire “sciopero generale”.
Questo accadeva sabato scorso. Oggi è lunedì. Ricomincia la settimana, i pullman partiti da tutto il paese sono rientrati a casa, i lavoratori tornano nelle fabbriche e negli uffici, alcuni tornano nella precarietà quotidiana, altri vanno alla ricerca di un lavoro.
Quanto sarà scossa la politica nazionale dal corteo di due giorni fa? Credo che molto dipenda da quelle due parole dette dalla segretaria della Cgil. Se faranno cambiare rotta al governo (ma non credo), o se il sindacato saprà andare oltre la manifestazioni e il rituale gioco sui numeri e avrà il coraggio di indirlo veramente quello sciopero generale.

Io alla manifestazione di sabato ci sono andato con una troupe di due persone.
Adi qualche giorno fa m’ha scritto: “E se andiamo a fare qualche ripresa della manifestazione? Qualche intervista. La telecamera la porto io, Pesce il microfono e tu le molotov. Magari viene una cosa”.
Io le bombe non le ho portate, ma il microfono e la telecamera c’erano.
Incontriamo Tonino che si è fatto 13 ore di treno per arrivare dalla Sicilia. Dice che “nell’agrindustria a Palermo è un deserto, tutti quelli che facevano trasformazione di prodotti agricoli o ittici stanno chiudendo. Eppure l’agricoltura e il turismo potrebbero dare sviluppo alla Sicilia. I governi, anche Crocetta che sta facendo un po’ di pulizia…però non ha fatto politiche di creazione di posti di lavoro veri. Io mi aspetto che un governo cosiddetto di sinistra ascolti la classe dei lavoratori e dei precari. Le ultime cose che ho sentito mi sanno di Berlusconi. Le 80 euro per i figli che nascono sono simili ai mille euro che dava Berlusconi. Gli 800mila posti di lavoro che Padoan dice in televisione somigliano al milione che diceva Berlusconi”

Lori di Catania lavora in un call center da sette anni e non è mai stata stabilizzata “sono anche laureata e purtroppo l’Italia non ci da altra possibilità. Sono stata contratto interinale, dovevo fare il salto nella stabilizzazione e mi hanno mi hanno retrocessa a progetto”.

“C’è poco ricambio da parte dei giovani, c’è un deserto dal punto di vista culturale” dice Giacomo, operaio di Pordenone “scarso interesse alla vita sociale: quello che vedo in regione mia è questo tranne qualche piccolo focolaio”

Un gruppo di ragazzi distribuisce volantini colorati. C’è un fumetto disegnato, quello del supereroe Jo Bat, disegnato da Dario Campagna. Jo Bat combatte contro Jobs Act, un mostro verde creato da Renzi. Insieme ai volantini variopinti hanno dei palloncini sui quali hanno scritto gli slogan del presidente del Consiglio. “Stiamo percorrendo il corteo chiedendo alla gente di scoppiare le balle!”
Elisabetta, insegnante barese che vive a Milano, dice che migliaia di precari verranno tagliati fuori dalle scuole italiane. Un suo collega è senza lavoro, dice “i miei ex studenti mi chiamano, dicono che vanno a scuola e non ci stanno gli insegnanti”

“Associano bancari e banchieri, ma non è la stessa cosa” dice Daniela che è impiegata di banca “siamo spinti a vendere delle cose che…insomma! Anche aldilà del fatto che non le condividiamo, è tutta una modalità di lavoro che sta cambiando. Le banche non sono più quelle che sostengono le famiglie e le piccole imprese. Noi vorremmo che fosse così, ma purtroppo le scelte dei manager sono quelle che sono”

Un metalmeccanico bresciano che ha iniziato a lavorare nel 1982 a 14 anni sta seduto per terra e segue distratto gli interventi dal palco. “I miei genitori sono andati in pensione dopo 35 anni, la sanità e la scuola funzionavano. Mia figlia è con me oggi e lavora saltuariamente. Mio figlio ha un contratto di 400 euro. Gli ho detto: stai a casa, così non è lavoro, ma sfruttamento. E lui: piuttosto che stare a casa a far niente, almeno mi tengo occupato. Io dico che non basta lavorare, il lavoro deve essere dignitoso. Io lo dico ai compagni in fabbrica che bisogna entrarci a testa alta”.

“Io lavoro alle officine elettriche delle acciaierie” dice Andrea di Terni “da luglio stiamo vivendo ‘sta situazione drammatica perché ci stanno tagli e chiusura di reparti. Ma secondo me è partito tutto un po’ di anni fa quando hanno chiuso la produzione del lamierino magnetico. Terni era l’élite del lamierino. Lì è stato l’inizio della fine”.

Chiedo a Corrado di Fondi, sud del Lazio, cosa si aspetta da questa manifestazione e lui mi racconta che a vent’anni ha deciso che non avrebbe avuto figli “sono un pessimista radicale! Non mi aspetto assolutamente nulla. Oggi sto qui perché non saprei dove altro stare, non certo alla Leopolda”

Non so se erano centomila, trecentomila o un milione di persone. Non erano poche, ma forse nemmeno quel numero astronomico che qualcuno ha detto. Però erano tante, un po’ confuse, sicuramente arrabbiate e convinte che cambierà poco o nulla.

Le lotte si fanno soprattutto sul proprio posto di lavoro, nel proprio territorio dove è possibile che sia diretto sia lo scontro che gli equilibri democratici. La manifestazione è sempre più un rito. Ma intanto, sperando che le parole divengano fatti, sabato molti erano contenti di aver sentito qualcosa di sinistra: sciopero generale!

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