Spesso, prima di tutti, lo capiscono gli imbarazzati spettatori della commedia triste che va in scena nei teatri di strada tra famiglie arrivate al capolinea sentimentale. Dalla platea, il silenzio assordante dell’incomunicabilità, è esplicito quanto il verdetto finale, ma i protagonisti proseguono ad interpretare la medesima parte.

Esiste un momento preciso in cui un amore finisce?

E’ la conseguenza di un evento distinto che come un vaso esploso in mille parti non tornerà come prima o è il logorio lento e inarrestabile di giornate mute e svogliate? Lo spartiacque è per molti la nascita dei figli.

Lei era una presenza costante, compagna di vita seducente mai uguale a se stessa, abile nell’afferrare con uno sguardo il suo mondo interiore. Quella complicità è ora svanita nelle richieste cantilenanti dei figli ancora piccoli, che piagnucolosi esigono la sua attenzione universale. E lei gli si offre, anche quando l’altro bambino desidera cura, interesse, il calore del suo corpo. Ma il desiderio represso annega nelle notti insonni sul divano di casa.

Da quando è nata la loro bambina lui torna sempre più tardi dal lavoro, se non sono le nove la porta d’ingresso non si apre. Lei e la piccola hanno già cenato e la casa, avvolta nell’oscurità, attende dialoghi che stentano a decollare, risate al posto di sorrisi.

Sua madre urlava continuamente a suo padre. E’ stato il leitmotiv della sua infanzia. Suo padre non era bravo a niente. Non riusciva a mettere un piatto nella lavastoviglie, non cambiava mai un pannolino, e non aveva idea di come si cuocesse un uovo al tegamino. Lui però fa quello e molto altro. Ma lei non lo vede, niente di lui è mai abbastanza.

Quando arriva a casa è stanco e nervoso, non ha voglia di parlare, e invece lei non vedeva l’ora che tornasse per poter conversare finalmente con un adulto, dopo la giornata trascorsa coi bambini. Finito di mangiare, lascia il piatto sul tavolo e soccombe davanti a parole che nemmeno sente, alla televisione.

Nei primi anni di matrimonio era premuroso, si assicurava delle sue esigenze per superarle nelle più rosee aspettative. I suoi complimenti la lusingavano più di quanto avessero mai fatto gli altri. Ora, che indossi una tuta o un tailleur, i suoi occhi la trapassano, guardano ma non vedono. Non come quel nuovo collega appena arrivato in ufficio.

Non sa quando sia successo ma è capitato, un pezzo alla volta l’incontro sublime è diventato scontro aspro, la condivisione, vuoto incolmabile. Perché sia successo non se lo sa spiegare.

Quel giorno non ci avevano giurato che sarebbe stato per sempre?

Ma poi la vita ha preso vantaggio; niente è stato come doveva essere: la carriera che non arriva mai, i soldi appena appena per il mese, i figli capaci di chiedere e mai di dare, quel brivido che non riappare più. Fino a poco tempo fa, succedeva solo agli altri.

Guardarlo in faccia, ora, è un buco nero. Meglio continuare a recitare. Ancora un altro po’.

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