Affermazioni “mai fatte”. Un’azienda “ben gestita da molti anni” e con una “governance eccellente”, altro che fiducia reciproca tra dirigenti “andata a farsi benedire”. E, soprattutto, rapporti tuttora buoni con il predecessore Paolo Scaroni. Così, in una breve lettera pubblicata da Repubblica a pagina 25, l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi smentisce punto per punto i contenuti dell’articolo di Gad Lerner uscito sul quotidiano di largo Fochetti domenica, con tanto di richiamo in prima pagina. Descalzi, indagato a Milano per corruzione internazionale per la vicenda della supposta maxi tangente pagata ai mediatori per l’acquisto della concessione petrolifera nigeriana Opl 245, nella ricostruzione di Lerner rimpallava ogni responsabilità alla gestione Scaroni. Dichiarando con “voce spezzata dal pianto”, dopo aver rivendicato di non essere “miliardario o milionario” come Scaroni, che era quest’ultimo a tenere i rapporti con il faccendiere Luigi Bisignani e a passarglielo al telefono. Poi la presa di distanza definitiva: “Da mesi io non prendo più le chiamate di Scaroni, qui dentro sto cambiando tutto”.

Circostanze negate nella nota di lunedì, in cui l’ex direttore della divisione Esplorazione e produzione del Cane a sei zampe, nominato in aprile al vertice dell’azienda dall’azionista ministero del Tesoro e difeso a spada tratta dal premier Matteo Renzi dopo la notizia dell’indagine, spiega che nel gruppo è in effetti “in atto una trasformazione industriale che risponde alle esigenze di un contesto di business che è radicalmente mutato negli ultimi anni”, ma Eni “è ben gestita da molti anni, con processi rigorosi e segregati di proposta, valutazione e approvazione che sono stati rispettati da tutti coloro che hanno lavorato all’acquisizione”, “ad ogni livello gerarchico”. E ancora: “”Non ritengo corretto dire che “all’Eni decideva tutto Scaroni””. 

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