Le regioni, Basilicata in testa, sono sul piede di guerra dopo il via libera alle trivelle previsto dallo “Sblocca Italia”. E dopo l’ultima provocazione di Renzi contro i “comitatini” locali, rei, secondo il premier, di bloccare i pozzi di petrolio e gas e quindi lo sviluppo del Paese. Ambientalisti, istituzioni e politici locali annunciano battaglia in Parlamento e manifestazioni a Roma per cambiare il testo uscito venerdì dal consiglio dei ministri. Nel mirino in particolare la parte che accentra dai territori a Roma il potere di rilasciare le autorizzazioni per le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi.

Il governo taglia i tempi aggirando le regioni – Un modo, è il timore, per aggirare le regioni, anticipando la riforma del Titolo V della Costituzione che prevede il ritorno alla competenza esclusiva dello Stato delle materie “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”. L’esecutivo vuole così tagliare i tempi burocratici, aumentare la capacità estrattiva e sbloccare investimenti “ipotizzabili in 15 miliardi di euro”. Il tutto, stando agli annunci, per ridurre la dipendenza energetica, sgonfiare la bolletta degli italiani e aumentare i posti di lavoro. Sono infatti molti i giacimenti inutilizzati sul territorio nazionale a causa, secondo il governo, della contrarietà degli enti locali e dei comitati. “L’ambiente è un bene pubblico, ma non possiamo andare avanti con le politiche locali dei no”, ha detto il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, in un’intervista al Resto del Carlino. Filosofia duramente contestata da tutte le regioni interessate alle attività estrattive.

I sindaci: “Non solo comitatini, contro un intero popolo” – E la Basilicata è la prima della lista: stando alle stime dell’esecutivo potrebbe soddisfare da sola il 10% del fabbisogno nazionale. “Se non si sceglierà un percorso condiviso, (il premier, ndr) non troverà un comitatino, ma un intero popolo, quello della Val d’Agri, con le sue istituzioni, a spendere tutte le energie per farsi rispettare”, ha scritto in una missiva indirizzata a Renzi Amedeo Cicalaprimo cittadino di Viggiano, uno dei centri che incassano più royalties (la percentuale che le compagnie petrolifere corrispondono ai territori). Tra gli altri è sceso in campo anche il sindaco sardo di Alghero, Mano Bruno: “Non mi piacciono le scorciatoie, capisco l’interesse nazionale per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, ma non ho mai sposato la filosofia del fine giustifica i mezzi”. Lapidario è poi il giudizio di Legambiente: “Regioni, Province e Comuni sono ormai tagliati fuori dal tavolo decisionale”. Non piace nemmeno la parte del decreto che attribuisce alla regione il 30% delle maggiori entrate derivanti dalle attività estrattive (prima era il governo che decideva la percentuale di volta in volta). Lo scambio del tipo “tu fai fare le trivellazioni e io ti do più soldi” non va giù agli ambientalisti e alla popolazione locale: la salute non si baratta, replicano.

Royalties fuori dal patto di stabilità, ma solo per il futuro. Pittella: “Proteste come a Scanzano” – Infine i lucani puntano il dito contro la parte del provvedimento che riconosce, come chiesto, l’esclusione delle royalties dal patto di stabilità, ma solo per tre anni e sulle nuove estrazioni. Briciole secondo la Regione, che invece voleva la retroattività e la stabilizzazione dell’esonero. “Noi incameriamo 166 milioni di euro all’anno, queste risorse entrano nel bilancio regionale ed entrano nel patto. Ciò significa che non possono essere utilizzate. La cassa ha raggiunto i 600 milioni di euro e io non posso pagare Comuni, servizi, imprese, lavori pubblici: sono bloccato avendo i soldi in cassa”, ha spiegato Marcello Pittella (Pd), presidente della Regione, a Radio 24. In caso quindi il decreto non venisse corretto, il presidente ipotizza “una protesta come quella del 2003, quando la regione reagì all’ipotesi di realizzazione a Scanzano Jonico (Matera) del deposito unico nazionale delle scorie radioattive”.

Lunedì l’ultima fiammata nel centro oli di Viggiano. Ambientalisti: “Nessun beneficio a occupazione” – A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato lo stesso premier, che è tornato all’attacco dei “comitatini”: “Se c’è il petrolio in Basilicata sarebbe assurdo, in questo momento, rinunciarvi. A maggior ragione in un momento di crisi energetica come quello che stiamo vivendo” e “semplicemente perché siamo affetti da comitatite”, ha detto Renzi. Dichiarazioni che si sommano a quelle di luglio quando il capo del governo se la prese con i “tre o quattro comitatini” che “bloccano le ricerche di idrocarburi”. “Renzi venga a respirare sotto il centro olio di Viggiano, anche oggi stesso (lunedì, ndr), dopo l’ultima fiammata, e potrà avere la risposta ai motivi della ‘comitatite’”, ha commentato la Ola (Organizzazione lucana ambientalista) contattata da ilfattoquotidiano.it, riferendosi alla nuova fiammata (la seconda in una settimana) divampata nel centro dell’Eni dove confluisce il greggio estratto in Val d’Agri. “Le dichiarazioni di Renzi vanno a creare un clima di tensione e instabilità”, ha invece detto il comitato La nostra terra non si tocca, che arriva a ipotizzare “la fine della Basilicata a causa del petrolio”. Mentre il comitato No Triv spiega: “Saremo anche pochi ma viviamo tra la gente. Conosciamo bene la vita quotidiana della Regione ed esprimiamo il malcontento delle persone”. Alla prova dei fatti, continua il comitato, “le attività estrattive non danno alcun beneficio né all’economia né all’occupazione visto che molti operai impiegati nei pozzi non sono del territorio locale. Di contro, producono danni alla salute. Lo dimostrano i dati sui tumori ai polmoni”.

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