Proprio perché il terrorismo è un pericolo grave per tutta l’umanità e sempre più lo sarà, si tratta di questione da affrontare con rigore intellettuale giuridico e non secondo le convenienze politiche del momento o seguendo i minestroni insensati alla Panebianco. Un vero e proprio paradosso che va segnalato e corretto è rappresentato dal Partito dei lavoratori kurdi (Pkk), che da oramai oltre trent’anni porta avanti attraverso vari mezzi e strumenti la lotta per i diritti del popolo kurdo da tempo schiacciato e represso dal governo turco.

La questione kurda è del resto una questione strategica per l’assetto dell’intero Medio Oriente e quindi del pianeta. Proprio all’interno del Pkk, sotto la leadership di Abdullah Ocalan, sono emerse le posizioni più proficue, condivisibili e interessanti al riguardo, basato sulla teoria del confederalismo democratico, su cui ho avuto già modo su questo blog di richiamare l’attenzione, che potrebbe senz’altro costituire la base per la soluzione dei problemi della Turchia, della Siria, dell’raq e dello stesso Iran, superando i confini nazionali, ma non su base settaria, come pretendono i terroristi tagliagole dell’Isis, ma in modo democratico, nel rispetto delle varie etnie e fedi religiose praticando l’autodeterminazione su base territoriale.

Non è del resto casuale che uomini e donne (organizzate militarmente in apposite brigate femminili di combattimento) kurdi e kurde siano da tempo in prima fila nella guerra contro il terrorismo fondamentalista, prima in Siria e ora anche e soprattutto in Iraq, combattendo per difendere tutte le minoranze, cristiani, ezidi, assiri ed altri dall’oppressione dell’Isis e simili.

Come scrive Daniele Pepino, in un articolo di prossima pubblicazione sulla rivista Nunatak, sono le forze kurde come il Pkk e il Pyd siriano ed altre a costituire il nucleo “dell’unica vera resistenza sul campo contro lo Stato islamico. una resistenza che vede in prima fila le milizie organizzate delle donne e in cui stanno confluendo gli abitanti delle regioni sotto attacco, rompendo le divisioni etniche, religiose, culturali, in una prospettiva politica che assume un significato universale… Questo movimento, che partendo dai curdi di Rojava rischia di dilagare oltre confini che non tengono più, è qualcosa di dirompente nel panorama mediorientale, comprensibilmente preoccupante per qualsiasi potere con mire di controllo ed egemonia nell’area”.

Ciò spiega, aggiunge Pepino, la natura di “controrivoluzione preventiva” assunta dalla resistibile ascesa dell’Isis facilitata da potenze reazionarie come l’Arabia Saudita e, con buona pace di qualche disinformato, la stessa Turchia di Erdogan, senza dimenticare il ruolo primigenio svolto dagli Stati Uniti nella destabilizzazione dell’intera area (per non parlare della strana vicenda costituita dal rilascio del capo dell’Isis Al Baghdadi da un campo di prigionia statunitense nel 2009, subito prima di assumere la guida dell’organizzazione terrorista).

Oggi tutti sono giustamente scioccati dalla catastrofe umanitaria provocata dall’avanzata dei tagliagole made in Ryadh, ma pochi si ricordano che tale avanzata è stata facilitata dall’ingiustificabile emarginazione dei sunniti operata per lunghi anni dal corrotto e repressivo regime di Al Maliki.

Per fermare i terroristi occorre quindi, come hanno richiesto i giuristi democratici in un recente comunicato, sostenere chi si oppone ad essi sul campo, a cominciare dalle organizzazioni kurde che ho citato, e creare un nuovo clima democratico che svuoti il loro bacino di consenso.

Ed occorre ovviamente porre fine al paradosso cui ho accennato supra: il Pkk va tolto dalla lista delle organizzazioni terroriste, come richiesto da tempo da varie personalità e affermato dal Tribunale di prima istanza dell’Unione europea. Esso infatti rappresenta oggi uno degli argini al terrorismo fondamentalista e una delle forze motrici per un nuovo Medio Oriente dove sia posto fine al terrorismo, ai massacri e alla violenza settaria. Così come va liberato al più presto Abdullah Ocalan, leader del popolo kurdo di Turchia e principale ideatore del disegno di tale nuovo Medio Oriente.

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