Nel pomeriggio del 21 luglio è cominciato il workshop internazionale su “La situazione della sinistra in Europa dopo le elezioni del Parlamento Europeo: nuove sfide”. La sede è quella della Fondazione Rosa Luxemburg a Berlino, piazza Franz Mehring. Il palazzo è quello della Neues Deutschland, il quotidiano legato alla Die Linke, l’organizzazione degli antiliberisti tedeschi. Si vivono e si respirano novità, strutturali ed organizzative, che stanno nei particolari: tutto è stato modificato secondo moderni schemi comunicativi. Un primo insegnamento per la nostra sinistra, che spesso gioca ad essere vecchia più di quanto non sia.

Anche una breve descrizione della Fondazione Rosa Luxemburg rafforza questa convinzione. La Fondazione è impegnata in una profonda attività sociale e di ricerca, con finanziamenti sia statali che recuperati in giro per il mondo. Ha uffici in tutto il mondo, sino a Pechino ed Hanoi, ed una conoscenza che è sul campo, con legami accademici e sociali impensabili oggi per qualunque organismo, italiano o sardo, simile.

La prima serata è dedicata alla socialdemocrazia europea, con una relazione di Gerassimos Moschonas, professore a Parigi e ad Atene. Il suo interesse da molti anni è per la storia e gli sviluppi della socialdemocrazia. I suoi lavori sono diversi libri e decine di presentazioni e conferenze.

Dati alla mano, Moschonas dimostra come la socialdemocrazia in Europa non sia in crisi, e stia bensì vivendo un declino costante, che non significa la morte.

Non si può parlare di crisi, perché non c’è un picco negativo, bensì un trend costante. Il termine crisi è improprio. Allo stesso modo, non possiamo parlare di morte, perché i risultati elettorali socialdemocratici sono tali che i socialdemocratici saranno ancora capaci di governare in molti paesi per molti anni, seppur in coalizione e con risultati sempre minori.

Moschonas sfata, suffragato dai fatti, alcune convinzioni. La più importante è che la socialdemocrazia perda voti e consensi nelle realtà più colpite dal neoliberismo. In realtà, la socialdemocrazia ha perso più voti nel nord Europa, e cioè nei paesi con un forte stato sociale, piuttosto che negli altri. Le elezioni del 2013 e del 2014, a partire dal caso greco, ci rendono però un allargamento forte della sconfitta anche ai paesi del sud Europa, più attaccati dal neoliberismo.

La parabola socialdemocratica non è legata solamente ai risultati elettorali, che oggi non permettono più di definirsi “egemoni”. Il declino è anche culturale e politico.

Nel novecento essa si basò su quattro principi: allargamento della democrazia, liberalismo culturale, promozione dell’eguaglianza sociale e costruzione dello stato sociale. A questo bisognava aggiungere l’obiettivo generale, il “socialismo”.

Abbandonato l’obiettivo generale, Moschonas è tranchant anche sul resto: l’attuale famiglia socialdemocratica ha abbandonato tre dei quattro principi sui quali si è basata. Questo processo è cominciato con il class de-alingnment, cioè con la progressiva perdita di identificazione dell’elettorato con classi e strati sociali definiti.

Rimane il liberalismo culturale, perché sugli altri aspetti è passata dal principio di “trasformazione” al principio del “conformismo”. Questi principi, aggiunge Moschonas, sono stati abbandonati nella pratica, ma non nella teoria.

In conclusione, la famiglia socialdemocratica europea ha di fronte a se un declino costante, ma non una frana, che gli permetterà di essere ancora un punto di riferimento. Lo spazio libero lasciato a sinistra è vasto, ma ancora non sono compiutamente apparsi gli attori capaci di riempirlo. Questo lascia spazio all’estrema destra ed ai verdi, e permette inoltre una tenuta dei conservatori.   

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