La notizia è che Vincenzo Nibali non ha vinto. Il che non vuol dire che abbia accusato la stanchezza trionfale della prima tappa alpina, quella di Chamrousse nel centenario di Gino Bartali. Anzi, al contrario: è arrivato secondo, in un paio di chilometri ha quasi recuperato quaranta secondi al polacco Rafal Majka che stava tirando alla morte per conquistare la vittoria nel secondo tappone alpino. Non ha voluto infierire, Nibali: “Majka se l’è meritata questa vittoria, già ieri era stato in fuga, oggi ha fatto una grande corsa”. Sembra la benedizione del Papa. Vai figliolo, ti sei conquistato un po’ di paradiso. Majka era l’ultimo superstite di una fuga cominciata prima dell’infinita salita che portava a scollinare il Lauteret, era riuscito a resistere sui mitici tornanti dell’Izoard, la Cima Coppi del Tour coi suoi 2360 metri, i francesi la chiamano Souvenir d’Henri Desgranges, in onore dell’inventore del Tour. Rafal ha tenuto nell’ultima ascesa, a Risoul, altra sciroppata di 12,9 chilometri con una pendenza media del 6,9 per cento. Nibali avrebbe potuto benissimo riprenderlo. Non gli interessava farsi un nemico in più. Da stasera, semmai, ha un amico in più. Perché martedì comincia il trittico dei Pirenei. La terza settimana è sempre la più critica, nelle corse a tappe. In più, dopo il Tourmalet, l’Hautacam, e due arrivi in salita, c’è il sabato del villaggio cronometrico, 54 chilometri contro il tempo da Bergerac a Périguex, terre di ghiottonerie ma anche di grandi indigestioni. Nibali non vuole rischiare di ritrovarsi al via da Bergerac, come un Cyrano senza la sua Rossana. Per questo centellina gli sforzi e attacca solo quando serve. Le Alpi sono alle spalle. Il siciliano ha scavato un rassicurante fossato che lo dovrebbe riparare da cattive sorprese.

“Simplement trop fort”, ha titolato l’Equipe, semplicemente è troppo forte, ed è indubbio che la strada verso Parigi si sia spianata. Ha dimostrato ancora una volta d’essere superiore agli avversari. E’ stato brillante persino nella vorticosa discesa dall’Izoard, al punto di avvantaggiarsi su quasi tutto il gruppo dei migliori: ha costretto Alejandro Valverde, il secondo della classifica, a sdrumarsi per rincorrerlo. Lo spagnolo, nel finale, ha pagato l’inseguimento e ha perso un altro minuto. Ora il vantaggio di Nibali su di lui è davvero molto importante, 4 minuti e 37 secondi. Gli altri, a scendere. Gli altri lottano con Valverde per il podio. Nibali, con la storia del ciclismo. E con i faziosi.

Uno è il banchiere d’affari russo Oleg Tinkoff che opera prevalentemente a Londra e parlicchia italiano. E’ davvero un appassionato di ciclismo. Pedala spesso con Bjarne Rijs, il direttore sportivo della squadra che il miliardario foraggia e che ovviamente si chiama come lui, la Tinkoff-Saxo Bank. Rijs ha vinto un Tour, dopo che si è ritirato dalle corse ha ammesso di essersi dopato. Il leader della squadra è Alberto Contador, che qualche problemino in questo senso l’ha avuto, tanto che gli hanno tolto la vittoria del tour 2010 e quella del Giro d’Italia 2011. Ha comunque conquistato due Tour, un Giro e due Vuelta. E’ arrivato a questo Tour come l’antagonista principale di Christopher Froome. Dopo che il britannico-keniota si è ritirato, Contador veniva accreditato come il favorito numero uno e Nibali il suo rivale principale, nonostante indossasse la maglia gialla e avesse sullo spagnolo due minuti e mezzo di vantaggio. Poi, c’è stata la drammatica caduta della decima tappa. Contador si è rotto la tibia. Tinkoff e i suoi hanno dapprima inveito con la malasorte, a ragione. Dopo di che, hanno cominciato spargere veleni: se ci fosse in corsa Alberto, sarebbe lui in maglia gialla perché è più forte di Nibali. Un ragionamento ingiustificato.

Per due motivi, almeno. Uno, l’andamento della corsa. Fin dall’inizio di questo Tour si è visto che Vincenzo aveva un passo più efficace rispetto a Froome e Contador, come ha dimostrato nella seconda tappa, a Sheffield, dove è scattato e ha lasciato basiti i “grandi favoriti”. Nella tappa del pavé – con Froome che era caduto prima dei ciottoli – Contador le ha buscate di santa ragione. Nel primo arrivo vero in salita, a Gérardmer, Contador ha provato in tutti i modi a staccare Nibali, senza mai riuscirci. Solo negli ultimi cinquanta metri, grazie ad un errore tecnico del messinese, Contador gli ha preso…tre secondi.

Il secondo errore è che nel ciclismo la caduta e l’abbandono sono parte del gioco. Le corse in bicicletta si fanno su strada. Che può scombussolare qualsiasi piano tattico: l’incidente è in agguato. Oggi, per esempio, Jakob Fuglsang, il gregarione di Nibali, pareva l’Uomo Ombra, tanto era coperto di bende e cerottoni per la scivolata del giorno prima, causata da una borraccia che il belga Jurgen Van Den Broeck aveva gettato senza curarsi di chi gli stava a ruota. Non c’è grande campione che non possa annoverare una caduta o un incidente tale da metterlo fuori gara: mi vengono in mente Bartali, Coppi, Merckx stesso; Anquetil; Gaul, Bahamontes. Il povero Rivière e lo sfortunato Casartelli ci hanno lasciato la pelle al Tour de France. Voglio dire che sono polemiche inutili, parole avvelenate, dettate dalla rabbia e dal fatto oggettivo che il modo di correre di Vincenzo Nibali è quello di un grande campione consapevole dei propri mezzi. Un corridore che sa come gestire le situazioni in cui si evolve la corsa. Uno che sa muovere le pedine della squadra. Un’Astana, bisogna però dire, che qualche crepa la mostra.

Anche oggi Nibali è rimasto solo negli ultimi cruciali chilometri di corsa. Per fortuna sua, tutti avevano dato tutto. E pure il forcing dei francesini che intravedono la possibilità di arrivare al podio è stato padroneggiato dal messinese. Ma all’inizio della salita finale che portava a Risoul, il dolorante Fuglsang ha salutato il capitano ed è scivolato piano piano indietro. Prima era stato il turno dell’estone Tanel Kangert. Infine cedeva Michele Scarponi, che a Chamrousse aveva accusato un ritardo di 32 minuti. Non è un mistero che Nibali voglia irrobustire la squadra. Fra pochi giorni si apre il mercato dei ciclisti, il primo di agosto. Circolano nomi eccellenti come Peter Sagan, stufo della Cannondale. Piace a Nibali un italiano che in questi due giorni è sempre andato in fuga ed ha animato anche oggi la tappa, tentando il colpaccio a undici chilometri dal traguardo. Alessandro De Marchi, col numero rosso di corridore più combattivo della tappa precedente, si era ribellato all’inerzia dei fuggitivi che perdevano terreno nei confronti dei migliori inseguitori, fra i quali Nibali, Valverde, Van Garderen e il trio lescano dei francesi Romain Bardet, Jean Christophe Péraud e Thibault Pinot, abbarbicati al terzo posto del podio.

De Marchi, con spirito suicida, era scattato e solo il simpatico José Rodolfo Serpa Perez della Lampre-Merida lo aveva agganciato, ma per poco. L’italiano se ne andava da solo, su queste strade aveva vinto l’anno scorso durante il Delfinato. Ma dietro, un altro superstite della fuga che aveva caraterizzato lo svolgimento della tappa, rinveniva con pedalate possenti. Il polacco Rafal Majka, ventiquattro anni e mezzo. Addirittura, nell’affiancarlo, il polacco spostava con una manata l’italiano, che non gradiva la cortesia. Majka era innocente: una moto lo stava quasi arrotando. E qui arriviamo a chiudere il cerchio della storia di oggi. Per chi corre Majka? Per la Tinkoff-Saxo senza più Contador. Majka era stato inserito nella squadra del Tour all’ultimo momento, e la cosa non l’aveva gradita affatto. Aveva già disputato un Giro d’Italia piuttosto impegnativo e concluso al sesto posto. Si aspettava, dopo un inizio di stagione piuttosto intenso, di riposare prima del Mondiale di settembre. Se l’è presa male. Lo ha fatto sapere via Twitter, che è il tam tam più utilizzato dai corridori, appena mettono piede in albergo. E tuttavia, in questo Tour si è comportato molto bene. Come ha riconosciuto lo stesso Nibali. Elogio interessato?

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