“Come dovrebbe essere bilanciato il diritto all’oblio di una persona con il diritto del pubblico di sapere?”. E’ questa la domanda che si pone Google – il più grande motore di ricerca della storia del web – e che pone a cittadini, utenti, addetti ai lavori e istituzioni di tutta Europa. Una sorta di consultazione pubblica – di quelle che, ogni tanto, promuovono le Istituzioni – per cercare di trovare il bandolo della intricata matassa che i giudici della Corte di Giustizia hanno passato a Big G nelle scorse settimane quando hanno deciso che ogni cittadino europeo deve poter chiedere ai gestori dei motori di ricerca la disindicizzazione di qualsiasi pagina contenente propri dati personali salvo che non debba considerarsi prevalente l’interesse del pubblico all’informazione ed a sapere.

Un’impresa più facile a dirsi che a farsi. E, infatti, Google, a poche settimane da quando ha offerto a tutti i cittadini europei l’opportunità di richiedere la disindicizzazione di pagine e contenuti che li riguardano si è trovata già centinaia di volte davanti a scelte difficili e complicate nelle quali bilanciare il diritto alla privacy del singolo con quello dell’umanità a sapere è risultato straordinariamente complicato.

Big G ha, quindi, deciso di istituire un autentico Comitato consultivo allo scopo di cercare di individuare linee guida e principi dell’azione di disindicizzazione che la Corte di Giustizia gli ha imposto di realizzare, a richiesta degli utenti, e di provare a dare le migliori risposte possibili a questioni che, oggettivamente, implicano riflessioni di straordinaria complessità e di matrice politica, etica, deontologica, economica e, naturalmente, giuridica.

Ma Google, ora, vorrebbe che fossero i cittadini europei, i governi, le Autorità nazionali e gli esperti di tutta Europa ad aiutare i 10 “saggi” – otto più Eric Schmidit e Peter C. Drummund, top manager dell’azienda di Mountain View – a capire prima e decidere quando la privacy debba cedere il passo al diritto del pubblico di sapere e viceversa. Un tentativo, quello di Mountain View, di rendere quanto più condivise e “democratiche” possibile una serie di valutazioni e decisioni dalle quali dipende in larga parte il futuro del web e, soprattutto, della società che saremo perché è innegabile che esiste una relazione diretta tra le dinamiche di circolazione delle informazioni e lo sviluppo culturale, democratico ed economico di ogni collettività.

Decidere se e quando il diritto del singolo all’oblio debba prevalere su quello della collettività a sapere e viceversa rappresenta uno snodo epocale nel nostro modo di informarci, informare, scrivere e conoscere la storia e per quanto sia apprezzabile lo sforzo che Google ha scelto di fare così come la competenza dei membri del Comitato consultivo, si deve riconoscere che ci si trova davanti ad un fallimento del sistema di governance democratica dell’innovazione.

Non avremmo mai dovuto consentire che decisioni tanto fondamentali per il nostro futuro e tanto complesse finissero con l’essere assunte – non per scelta ma addirittura per ordine di un’Autorità Giudiziaria – dalla più grande internet company del pianeta.

Stiamo vivendo un autentico paradosso: un sistema di regole che dovrebbe avere nel suo dna anche l’obiettivo di arginare il rischio che le regole della società siano imposte dalle dinamiche di mercato, ha finito con l’affidare ad uno dei leader del mercato il compito di individuare una complicatissima posizione di equilibrio etico e democratico – prima ancora che giuridico – al posto dei Parlamenti, dei Governi o, al limite, dei Giudici.

Per il momento non resta che approfittare dell’occasione offertaci da Big G, partecipando alla consultazione pubblica appena promossa ma c’è da augurarsi che, magari proprio il nostro Paese – dato che siamo nel nostro semestre di Presidenza dell’Unione – imponga al legislatore europeo di farsi carico di sollevare Google, e gli altri gestori dei motori di ricerca, dell’onere di decidere quando la privacy del singolo deve davvero prevalere sul diritto di sapere dell’umanità, dettando regole chiare e bilanciate ma soprattutto individuate all’esito di un processo di normazione democratico.

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