Una truffa da 100 milioni di euro grazie alla creazione di una società ad hoc per ottenere contribuiti pubblici. Questo il cuore del processo per cui oggi il pm Stefano Civardi ha chiesto una condanna a cinque anni e quattro mesi per Fabio Riva, imputato per associazione per delinquere e truffa, nel processo su un meccanismo illecito per far ottenere al gruppo Riva, tramite l’Ilva di Taranto, l’ottenimento di contributi statali per favorire l’export. Il ministero dello Sviluppo economico, parte civile del processo ha chiesto un risarcimento dei danni per 120 milioni di euro. La sentenza è attesa per il 21 luglio prossimo. 

Secondo le indagini della Procura di Milano, i dirigenti del Gruppo Ilva, avrebbero creato una società ad hoc con sede in Svizzera, l’Ilva Sa, per aggirare la normativa (la legge Ossola) sull’erogazione di contributi pubblici per le grandi aziende che esportano all’estero. In sostanza, la normativa prevede che le aziende, che hanno commesse estere e però ricevano i pagamenti dall’estero in modalità dilazionata nel tempo, possano ricevere stanziamenti a fondo perduto da una società, la Simest, controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’Ilva, però, non avrebbe potuto avere queste erogazioni, secondo l’accusa, perché riceveva pagamenti in seguito alle commesse estere con dilazioni a non più di 90 giorni. E così, secondo l’ipotesi della Procura, sarebbe stata costituita la società svizzera che prendeva le commesse all’estero e poi si interfacciava con l’Ilva spa. A quel punto, i pagamenti dalla società svizzera all’Ilva venivano dilazionati nel tempo in modo da poter rientrare nella normativa sulle erogazioni pubbliche. 

L’accusa ha chiesto la confisca di oltre 91 milioni di euro, già sequestrati, allo stesso Fabio Riva, Agostino Alberti (dirigente di Ilva sa) e Alfredo Lo Monaco (della società svizzera Eurofintrade sa) e alla società Riva fire, attraverso la quale la famiglia Riva controlla l’Ilva di Taranto (ora commissariata). La pubblica accusa ha invocato anche la condanna della società Riva Fire, imputata per la legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, al pagamento di una sanzione pecuniaria di 2,25 milioni di euro e all’interdizione a ricevere finanziamenti pubblici per un anno e sei mesi. 

Per Lo Monaco, il pm ha chiesto una condanna a 5 anni e 4 mesi e per Alberti a 3 anni e 4 mesi. Anche per loro le accuse sono di associazione per delinquere e truffa. La procura ha distinto però la posizione di Alberti, chiedendo una pena più lieve, in quanto mentre per Fabio Riva e Lo Monaco sono stati indicati dalla procura come “promotori dell’associazione per delinquere” individuata dagli inquirenti, per il pm, Alberti “ne è solo partecipe”. Nel formulare le richieste, inoltre, il pm ha sottolineato come Fabio Riva sia stato “l’artefice, il promotore, il vertice e il padrone” del sistema creato per ottenere indebitamente contributi pubblici e delle società che ne hanno beneficiato.  

Per quanto riguarda Lo Monaco, il magistrato ha spiegato che è “immotivatamente il principale beneficiario economico”, infatti, “in cinque anni si è fatto accreditare 15 milioni di euro, come percentuale del contributo pubblico” ottenuto dal gruppo Riva, pari a circa 100 milioni di euro, grazie alla legge Ossola per favorire l’export. Il gruppo italiano, come ricostruito nel corso dell’indagine, usava l’intermediazione della svizzera Eufintrade per avere le caratteristiche adatte per accedere ai contributi statali. L’imprenditore elvetico avrebbe incassato in cambio una “parcella” da 15 milioni. Per quanto riguarda Alberti, secondo il pm Civardi “fino alla fuga di Fabio Riva (si trova a Londra, ndr) non si è posto domande che avrebbe dovuto porsi”, aggiungendo che “ha pagato con il carcere, sta pagando e pagherà con il carcere le colpe di chi è andato all’estero”, facendo ancora riferimento alla latitanza di Riva. Il 26 febbraio scorso era stata disposta la consegna da parte dell’autorità giudiziaria britannica, ma Fabio Riva non è ancora rientrato da Londra

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