“C’è il Dna, tenta di spiegare. Io ti credo, ma tenta di spiegare…”. E’ una supplica quella che Marita Comi rivolge al marito Massimo Giuseppe Bossetti. E’ la prima volta che i due si rivedono. La prima volta dal 16 giugno, giorno in cui il muratore 44enne di Mapello è stato sottoposto a fermo con l’accusa di aver ucciso la 13enne di Brembate di Sopra (Bergamo).

Il colloquio in carcere Bergamo tra Comi e Bossetti è stato concesso dal pm Letizia Ruggeri. Due ore in tutto, 60 minuti in più rispetto a quello che di norma prevede il protocollo, riporta il Corriere della Sera. Parole e sguardi sono state immortalati dagli occhi delle telecamere e registrati da due guardie. Ci sono stati lunghi momenti di silenzio, alternati da altri di commozione. Si è parlato “del peso” che Marita deve sopportare da sola, là fuori. E sopratutto dei figli. Perché il più grande, che ormai ha 13 anni, ha capito quello che è successo, inizia a fare domande, vuole sapere chi è il suo papà.

Marita e Massimo hanno cercato di raccogliere le certezze frantumate di questi 10 giorni: Massimo ha scoperto di essere, Dna alla mano, figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni. Marita di avere sposato il presunto killer di una ragazzina che quando venne ritrovata in un campo di Chignolo d’Isola, il 26 febbraio 2011, aveva la stessa età del suo primogenito. I ricordi vengono ricuciti uno ad uno. Corrono indietro per 4 lunghi anni. Fino ad arrivare al 26 novembre 2010: quando Yara uscì dalla sua casa di via Rampinelli e non tornò più. Marita Comi rivolge la stessa domanda che carabinieri e polizia hanno già fatto a suo marito. “Dove eri? Cerca di ricordare”. Ma la sua è una supplica, non un interrogatorio. Sa che è difficile mettere in fila la cronaca di una sera così lontana. Anche lei, quando gli inquirenti glielo hanno chiesto, è stata vaga: “Quella sera abbiamo cento insieme alle 21“. Troppo poco per la Procura per assicurare un alibi al marito.

A un’altra domanda Marita Comi sa invece dare una risposta. Il 23 giugno scorso, i carabinieri di Ponte San Pietro durante un interrogatorio le chiedono: “Lei si è mai recata sul luogo del rinvenimento del cadavere di Yara Gambirasio a Chignolo d’Isola?”. Ecco la risposta della donna trascritta sul verbale di cinque pagine riportato da la Repubblica: “E’ capitato in una circostanza, parecchio tempo dopo il ritrovamento di Yara, che transitando per andare a Capriate San Gervasio, volevamo andare a vedere il luogo. Inizialmente non trovammo la strada, ma alla fine ci siamo arrivati. Che io sappia, mio marito non c’è mai andato“.

Parole e ricordi. Martedì invece i consulenti della difesa, nominati dagli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagnidella, incontreranno quello della famiglia di Yara, Giorgio Portera nei laboratori del Ris di Parma: bisogna compiere i rilievi sulla vettura Volvo di Bossetti ma soprattutto sul suo autocarro cassonato Iveco Daily, posti sotto sequestro. Si cercano tracce di Yara sui suoi mezzi, in particolare a bordo dell’autocarro. Un mezzo comune in queste zone della Bergamasca. Ma quello di Bossetti, secondo gli investigatori del Ros dei carabinieri, ha una caratteristica che lo rende unico e che rappresenterebbe un’altra prova regina oltre alle tracce di Dna rinvenute sul cadavere della 13enne compatibili con quello di Bossetti. Di cosa si tratti resta un aspetto che i carabinieri mantengono segreto. “E’ come fosse il suo Dna”, spiega un investigatore a ifattoquotidiano.it.

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