Giovani, donne e lavoratori del Sud. Se si potesse tracciare un identikit delle persone più soddisfatte del proprio lavoro in Italia, di sicuro loro sarebbero esclusi. Almeno secondo i numeri del Bes 2014, il Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e dell’Istat che, attraverso l’analisi di alcuni indicatori, punta a scattare una fotografia “del benessere in Italia relativo all’ultimo decennio caratterizzato dai difficili anni di crisi economica”. E l’album che restituisce non è certo quello dei giorni di festa, soprattutto per quanto riguarda alcuni capitoli “sensibili”: lavoro, servizi, benessere economico e fondi per la ricerca.

Lavoro e soddisfazione – Si allarga il divario che separa i tassi di occupazione e di mancata partecipazione italiani da quelli europei, con una distanza che è divenuta sempre più ampia negli ultimi due anni. “Gran parte degli indicatori segnala un preoccupante peggioramento della condizione dei lavoratori – si legge nel documento – l’instabilità dell’occupazione rimane diffusa e l’incidenza di lavoratori a termine di lungo periodo si associa ad una propensione sempre minore alla stabilizzazione dei contratti di lavoro temporanei, soprattutto per i giovani”. E a risentirne di più sono soprattutto coloro che vivono nel Mezzogiorno, dove a questa situazione si aggiunge anche una maggiore incidenza (19,1 per cento nel 2012 rispetto al 10,5% della media nazionale) di occupati in posizione non regolare.

Quindi il lavoro è sempre meno e quando c’è è sempre più precario o irregolare. Una situazione che genera ripercussioni notevoli, sia a livello economico e pratico che psicologico. Una fra tutte, il calo della soddisfazione per le dimensioni del lavoro proprio tra giovani, sempre più scoraggiati, e tra le donne, molto spesso costrette a rinunciare alla carriera in un periodo di crisi in favore di quello che viene definito “part-time involontario”, in una corsa continua alla ricerca dell’equilibrio perfetto tra tempi di lavoro e di vita. Soprattutto in presenza di figli piccoli, come testimonia “la recente crescita del divario tra il tasso di occupazione delle madri di bambini in età prescolare e quello delle donne senza figli (nel 2013 rispettivamente 54,6 per cento e 72,6% i tassi per le donne tra i 25 e i 49 anni), soprattutto nel Mezzogiorno (36,8% rispetto al 52,8%)”.

Servizi – Queste difficoltà delle madri, soprattutto al Meridione, vengono quantificate dai numeri che dipingono la situazione dell’accessibilità ai servizi per l’infanzia. Un quadro che evidenzia una profonda frattura tra Nord e Sud: nel caso degli asili nido, ad esempio “sono iscritti il 18% dei bambini di 0-2 anni nel Centro-Nord e solo il 5% nel Mezzogiorno”. Oltretutto, nel 2011, “dopo cinque anni di miglioramento, si è registrata una riduzione nella percentuale di bambini accolti nelle strutture pubbliche o convenzionate”. E non va meglio per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, con una diminuzione dei posti letto dal 7,1 per cento del 2009 al 6,5 del 2011.

Fondi ricerca – Non va certo meglio a ricerca e sviluppo, su cui l’Italia continua ad investire poco. Anzi, sempre meno, con la quota di Pil destinata al settore in continua diminuzione. “Confrontando la spesa nazionale con quella dei principali Paesi europei – si legge infatti – il contributo italiano al totale europeo passa dal 7,9 per cento del 2010 al 7,6 per cento del 2011”. Calano, inoltre, del 6,1 per cento nel 2011 le domande di brevetto, con un conseguente peggioramento della nostra capacità brevettuale rispetto a quella degli altri Paesi europei. E in un mondo sempre più tecnologico e dove l’innovazione è una delle principali fonti di sviluppo, l’Italia rischia di rimanere a guardare con un peso economico dei settori ad alta tecnologia “tra i più bassi d’Europa”.

Benessere economico – In un quadro generale come quello appena descritto, le condizioni economiche, “nonostante deboli segnali positivi nel 2013”, precipitano. Nel 2012 le difficoltà economiche delle famiglie si sono accentuate, con un calo della ricchezza netta complessiva del 2,9 per cento in termini reali rispetto all’anno precedente e un conseguente pesante crollo dei consumi. Ma a certificare il momento di difficoltà è soprattutto l’aumento degli indicatori di povertà, soprattutto quella assoluta (aumentata di 2,3 punti percentuali nel 2012), e di deprivazione. “La quota di persone che vivono in famiglie assolutamente povere passa dal 5,7% all’8 per cento”, certifica il Bes. E non risparmia nessuna zona d’Italia, aumentando sia al nord, al centro e al sud.

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