Tenuto conto delle sue “caratteristiche molto diluitive”, l’aumento di capitale di Mps partito lunedì “è stato gestito benissimo, abbiamo fatto un lavoro straordinario e non ci sono stati problemi”. Parola dell’amministratore delegato di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi. Che ha definito “marginali e minime” le difficoltà di questi giorni, dato che “il 96% del capitale, rappresentato dai diritti, ha negoziato fin dal primo giorno”. Dunque, ha concluso parlando a margine di un convegno giovedì mattina, “si sta facendo molto casino per una cosa marginale”. Non si direbbe, osservando gli esiti dei primi quattro giorni di operazione, sfociati giovedì in un esposto-denuncia dell’Adusbef che chiede alle procure di “valutare i comportamenti di Consob e Borsa Italiana che hanno danneggiato molti investitori ed il mercato”. Questo dopo che la società Ftse, che gestisce l’indice principale di Piazza Affari, è stata costretta a rivederne in corsa il metodo di calcolo e Unicredit e Sociéte Générale hanno rettificato di conseguenza i regolamenti sugli strumenti finanziari (in gergo covered warrant) legati al titolo Mps, con il risultato – secondo l’associazione dei consumatori – che molti investitori si trovano oggi in mano prodotti completamente diversi da quelli acquistati e più rischiosi. Per non parlare degli intermediari di Borsa riuniti nell’associazione Assosim, che dalle pagine del Sole24Ore lamentano come “né Borsa Italiana né Consob abbiano ritenuto opportuno adottare alcuna” delle “possibili soluzioni” da loro proposte negli ultimi mesi (una dozzina) proprio per evitare di ritrovarsi – come sta avvenendo – nella condizione di “rifiutare gli ordini della clientela, con evidente danno commerciale e reputazionale ed esponendosi al rischio di pretese risarcitorie”. 

Caos e “anomalie”: un copione già scritto – Un caos che si sarebbe potuto evitare, sostiene Assosim, se i regolatori avessero adottato in via preventiva “una soluzione strutturale”. Perché i problemi e le distorsioni legati agli aumenti iperdiluitivi – quelli cioè che riducono ai minimi termini la quota nel capitale degli azionisti che non aderiscono – sono ben noti: si sono manifestati, per fare solo qualche esempio, nei giorni delle ricapitalizzazioni di Unipol e Fonsai nel 2012 e ancora prima all’epoca delle ricapitalizzazioni di Pirelli Re e Seat Pagine Gialle. Sul fatto che l’aumento Mps ricada nella categoria non ci sono dubbi: le nuove azioni saranno 5 miliardi, contro i 116,8 milioni in circolazione in precedenza. Il copione, dunque, era già scritto. E il suo contenuto era chiarissimo agli occhi dell’autorità di vigilanza sul risparmio, che infatti in una comunicazione di venerdì 6 giugno firmata dal presidente Giuseppe Vegas parlava di “elevato rischio che durante il periodo di offerta in opzione delle nuove azioni si verifichino anomalie di prezzo”. E che quindi le azioni possano subite forti oscillazioni secondo un processo che, nelle sale operative, i gestori definiscono “assolutamente prevedibile”, dal momento che esiste “un forte scoperto di titoli”, ovvero sul mercato ci sono poche azioni da cui scaturiscono i diritti alla sottoscrizione di nuovi titoli ad un prezzo molto conveniente (35% in meno) rispetto alle quotazioni di mercato.

Domanda in eccesso e illusioni ottiche sul prezzo – Riassunto delle puntate precedenti: con il lancio dell’aumento il valore del titolo Mps – procedura usuale – è stato sdoppiato, attribuendone una parte (1,54 euro) alle azioni della banca post-aumento e il resto, pari a 23,1 euro, ai diritti di opzione, che danno la possibilità di acquistare a 1 euro le azioni di nuova emissione. Chi aveva investito in azioni della banca si è dunque trovato in mano, per ognuna, anche l’opzione, che permette di comprare 214 nuove azioni per ogni 5 possedute in precedenza. I risparmiatori non intenzionati a aderire all’aumento (per scelta o per l’impossibilità di sborsare altri soldi) hanno dunque iniziato a vendere questi diritti, il cui valore è costantemente sceso. Ma ben più forte è stata la domanda espressa dagli operatori professionali che sono andati corti sul titolo e avrebbero voluto ricoprirsi, da fondi che “replicano” l’indice Ftse Mib e dunque acquistano e dagli azionisti, anche piccoli, ingolositi dall’”illusione ottica” di un’azione acquistabile a poco più di 2 euro contro i 24 di pochi giorni prima. Una domanda che si è scontrata frontalmente con la scarsità “fisica” dell’offerta dovuta al fatto che le nuove azioni non esistono ancora. 

Il cambio in corsa dell’indice Ftse Mib – Risultato: nei primi due giorni dell’aumento il titolo non è riuscito a fare prezzo in Borsa fino alla chiusura, quando ha messo a segno un doppio rialzo del 20% a seduta. Al contrario sono sempre stati scambiati con continuità i diritti. Solo mercoledì il titolo è tornato a trattare normalmente sul mercato, con scambi record (pari al 41% del capitale) ma lasciando sul terreno il 20% del valore. Riallineandosi così al prezzo (per ora teorico) espresso dal diritto. Sommando tutti i fattori, l’effetto distorsivo delle fluttuazioni del titolo è risultato talmente forte che Borsa italiana martedì ha dovuto intervenire per modificare le modalità di calcolo dello stesso Ftse Mib, introducendo nell’indice oltre alle azioni anche l’andamento dei diritti a prezzi di mercato. Un cambio delle regole in corsa – deciso, spiega la nota diffusa dalla Borsa, “dopo aver consultato gli operatori finanziari” – che ha fatto storcere il naso a molti. Ma ancora più grave, stando all’esposto dell’Adusbef, sarebbe quello che è avvenuto subito dopo: Unicredit e Société Générale, che relativamente ai “covered warrant” sul titolo Mps avevano redatto un regolamento in base al quale i prodotti sarebbero stati indicizzati alla performance del solo titolo della banca, “dopo aver visto una eccezionale performance di Bmps con un +20% hanno deciso di variare in corsa il regolamento del prodotto, decidendo in maniera arbitraria che la performance del warrant non fosse più indicizzata all’andamento del solo titolo”, ma anche a quella del diritto di opzione. “Numerosi trader, semiprofessionisti o piccoli risparmiatori che avevano acquistato dei prodotti derivati, opzioni e covered warrant” si sarebbero per questo trovati spiazzati. E coloro che hanno chiesto a SocGen “lo storno dell’operazione in quanto non più profittevole e diversa come filosofia da quella che si voleva mettere in pratica” avrebbero ricevuto, scrive Adusbef, “un secco rifiuto”.

Per Vegas “Tutti erano avvertiti” – Secondo Vegas, però, la Consob non ha nulla da rimproverarsi: ha svolto l'”attento monitoraggio” promesso alla vigilia dell’aumento, ha “emanato avvertenze e tutti erano avvertiti”. Per quanto riguarda i movimenti del titolo, “essendo un aumento di capitale fortemente diluitivo – tra l’altro è la prima volta che succede con uno dei titoli quotati sul Ftse Mib – è chiaro che gradualmente il prezzo dell’azione si va allineando al valore che avrà a chiusura dell’operazione”. Ma non sarebbe stato meglio prevenire? ”Come diceva Croce la storia non si fa con i se e con i ma”, è stata la risposta del presidente ai giornalisti, a margine di un convegno a Milano. Quanto ai vertici della banca, l’ad Fabrizio Viola ha negato che l’aumento abbia causato un “pandemonio” sui mercati: si è trattato semplicemente di “due giorni di volatilità”. Mentre il presidente Alessandro Profumo ha liquidato la questione dicendo che “in tutti gli aumenti di capitale ci sono delle forti oscillazioni dei prezzi, dei diritti” e “faremo poi tutte le valutazioni quando si sarà concluso l’aumento di capitale”, il 20 giugno (i diritti saranno esercitabili fino al 27). 

Il precedente della Fondazione – Per allora i giochi saranno fatti secondo un copione già visto a Rocca Salimbeni nel marzo scorso. Quando cioè le anomalie del titolo avevano spinto Consob e Guardia di Finanza ad un’ispezione negli uffici della Fondazione Mps sull’ipotesi di abuso di informazioni privilegiate (insider trading) relativamente al dicembre 2013 quando il titolo veniva scambiato sotto un euro per azione e furono diffuse notizie di cessioni di azioni ordinarie Mps nelle mani dell’ente guidato da Antonella Mansi. A marzo, però, le azioni valevano già 1,49 euro (quasi il 50% in più) e la Fondazione aveva ceduto pochi giorni prima il 12% ad un valore vicino a quello in bilancio e incassando il denaro necessario a rimettere in sesto i conti dell’ente.

La maxi commissione e la bocciatura di Serra – A far discutere, poi, c’è anche la maxi commissione da 260 milioni riconosciuta al consorzio di garanzia dell’aumento formato da Ubs, Citi, Goldman Sachs, Mediobanca, Barclays, Merrill Lynch, Commerbank, Jp Morgan, Morgan Stanley e SocGen. Non è passato inosservato il tweet postato dal finanziere Davide Serra, fondatore di Algebris e noto sostenitore del presidente del Consiglio Matteo Renzi in occasione delle primarie del Pd: “Per ogni 100 euro di nuovo capitale, 5 vanno ad altre banche”. 

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