Omicidio colposo plurimo e disastro. Sono i reati per i quali il tribunale di Taranto ha emesso 27 condanne nei confronti di altrettanti ex dirigenti dell’Ilva e della vecchia Italsider di Stato per la morte di 28 operai, deceduti per mesotelioma pleurico contratto per l’esposizione all’amianto presente nella fabbrica.

Condannati anche Giorgio Zappa, ex direttore generale di Finmeccanica (otto anni e sei mesi) e Francesco Chindemi già amministratore delegato della Lucchini (otto anni).

 

Sei anni di reclusione per Fabio Riva, l’ex vice presidente dell’omonimo gruppo che da tempo si trova a Londra in attesa di estradizione. Per l’imprenditore lombardo una pena addirittura maggiore rispetto a quella formulata dal sostituto procuratore Raffaele Graziano che aveva avanzato una richiesta di pena a quattro anni e sei mesi di carcere. Condannato a sei anni di reclusione anche l’ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, anche lui come Riva arrestato nell’ambito della maxi inchiesta “ambiente svenduto”. Non luogo a procedere, invece, per Emilio Riva, ex patron della fabbrica, deceduto lo scorso 30 aprile.

Tra le 27 condanne spunta anche il nome di Pietro Nardi, l’uomo che, secondo diverse indiscrezioni, era candidato a diventare il nuovo commissario straordinario dell’Ilva al posto di Enrico Bondi. Il giudice Simone Orazio lo ha riconosciuto colpevole della morte di 10 operai e del disastro colposo causato dall’omissione dolosa delle cautele. Le condanne nei confronti degli altri imputati, tutti ai vertici dello stabilimento siderurgico ionico tra il 1975 e il 1995, variano da un minimo di quattro anni a un massimo di nove anni e sei mesi. Le maggiori sono state inflitte ai dirigenti della vecchia Italsider. Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza per comprendere i criteri seguiti dal magistrato nella applicazione delle pene, ma appare altamente probabile che il giudice abbia ritenuto maggiormente responsabili i dirigenti che prima di altri sono venuti a conoscenza della pericolosità delle di fibre di amianto senza intervenire in modo adeguato per risolvere il problema. Il tribunale ha inoltre riconosciuto il risarcimento nei confronti dei familiari delle vittime e nei confronti dei sindacati Fiom e Uilm, costitutiti parte civile nel procedimento.

Nell’aula al termine della lettura del dispositivo è partito un applauso dei presenti. “Pur ribadendo– ha detto uscendo dall’aula il procuratore Franco Sebastio – che è solo una sentenza di primo grado e che in Italia vige la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, dobbiamo riconoscere che questa sentenza stabilisce quantomeno che la procura non ha commesso errori nella costruzione delle indagini”.

Soddisfazione è stata espressa dai familiari che hanno definito il verdetto “una sentenza storica” . “Questo lungo dibattimento – aveva spiegato il pm Graziano durante la sua requiesitoria – rappresenta uno spaccato della vita della comunità tarantina. È una vicenda che mostra le gravi violazioni avvenute in fabbrica in materia di sicurezza in fabbrica”. Una tesi confermata, quindi, anche dal tribunale e che arriva a poco meno di un mese dalla prima udienza preliminare del maxi processo all’Ilva, ma soprattutto che arriva quasi in contemporanea all’incontro tra Bondi e la famiglia Riva per la ricapitalizzazione. “Il prossimo 26 maggio faremo avere al commissario la nostra posizione” ha commentato all’esito dell’incontro Claudio Riva che poi ha aggiunto “Senza un futuro per l’Ilva penso ci sia poco futuro per l’Italia nella siderurgia”.

di Francesco Casula, video di Luigi Piepoli

 

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