La Cassazione “assolve” un magistrato e punta il dito contro il Csm che l’aveva punito. Uno scontro tra palazzi che avviene su uno dei casi più bollenti degli ultimi anni: ovvero l’affaire Ruby. Protagonisti di un verdetto a sezione Unite il pm per i minori Annamaria Fiorillo, l’allora ministro Roberto Maroni, e il Consiglio superiore della magistratura che alla toga ribelle, che rilasciò interviste per difendersi dalle dichiarazioni del responsabile del Viminale, considerate diffamatorie, aveva inflitto una sanzione. Il magistrato ordinò che la giovane marocchina, all’epoca 17enne, venisse accompagnata in comunità. Invece fu affidata all’allora consigliera regionale del Pdl Nicole Minetti. Quando il ministro disse che la procedura era stata regolare Fiorillo rilasciò alcune interviste sostenendo che Maroni aveva mentito.

La Fiorillo fu quindi condannata per violazione del riserbo dal Consiglio superiore della magistratura, ma oggi la Cassazione dice che aveva diritto di difendersi da una diffamazione. Che riguardava lei come magistrato, ma anche la stesso organo: “La tutela dei magistrati contro denigrazioni diffamatorie è, oltre che compito del Consiglio Superiore, un diritto per ciascun magistrato ed un dovere istituzionale – osservano i magistrati – al quale non si può abdicare, poiché la credibilità dell’istituzione giudiziaria e la fiducia dei cittadini nella sua imparzialità sono una garanzia assoluta della vita democratica”. Insomma la Fiorillo con le sue dichiarazioni aveva difeso la sua toga e quella di tutti i suoi colleghi. Con la sua punizione in qualche modo si è mutilata quella difesa. 

Annullata la sanzione del Csm inflitta al pm minorile. La Cassazione ha quindi annullato con rinvio quella decisione affinché il Csm quindi riesamini la vicenda. Il magistrato aveva smentito, con interviste, la ricostruzione sull’affidamento di Ruby a Nicole Minetti che, il 9 novembre 2010, l’allora ministro dell’Interno disse che avvenne su indicazioni della stessa Fiorillo. La toga, sentita come teste nel processo Ruby, aveva ribadito che l’allora responsabile del Viminale non disse il vero perché lei non aveva mai autorizzato quell’affidamento anomalo di una minorenne, denunciata per furto e sospettata di essere una prostituta

“Aveva il diritto dovere di difendersi da denigrazioni diffamatorie”. Per la Cassazione, i magistrati hanno il diritto e il dovere di difendersi dalle “denigrazioni diffamatorie“. Scrivono gli ‘ermellini’ – nella sentenza 6827 delle Sezioni Unite, pubblicata oggi e relativa all’udienza dello scorso 28 gennaio – che “la pubblica notizia dell’affidamento di una minore ad una persona estranea alla famiglia, in una vicenda contraddistinta dall’intervento del Presidente del Consiglio dell’epoca (Silvio Berlusconi condannato per concussione e prostituzione minorile in primo grado), era idonea a compromettere presso l’opinione pubblica non solo l’onore e la professionalità” della pm Fiorillo, “ma anche i valori dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”.

“Compito di tutelare i magistrati è del Csm “.  Sottolinea la Cassazione che in questo procedimento disciplinare, non si discute della reazione del pm a una critica, ma della sua reazione “all’attribuzione di un provvedimento non solo di contenuto diverso da quello effettivamente adottato, ma anche inconciliabile con i doveri del magistrato e con l’immagine che il magistrato deve dare di sé per la credibilità propria e della magistratura”. In proposito, accogliendo il ricorso del pm Fiorillo contro la sanzione inflittale da Palazzo dei Marescialli lo scorso giugno, la Cassazione staffilando i togati del Csm spiega che “la tutela dei magistrati contro denigrazioni diffamatorie è, oltre che compito del Consiglio Superiore, un diritto per ciascun magistrato ed un dovere istituzionale al quale non si può abdicare, poiché la credibilità dell’istituzione giudiziaria e la fiducia dei cittadini nella sua imparzialità sono una garanzia assoluta della vita democratica”. Il verdetto ricorda che Fiorillo ha difeso la sua “professionalità” e la sua “credibilità” di magistrato che sono un bene “coerente” con quello della imparzialità e indipendenza dei giudici.

La Cassazione: “La verità mediatica si fissa nella memoria collettiva.” Ora il Csm dovrà verificare se il pm anziché rilasciare interviste – a ‘In mezz’ora’ e a ‘Repubblica’ – avrebbe potuto difendersi con altri mezzi, senza violare il dovere del riserbo e la prerogativa del capo della Procura a parlare con i media. Ad esempio, come aveva sostenuto il Pg della Cassazione, chiedendo l’intervento a tutela del Csm, l’intervento a tutela del capo dell’ufficio, o presentando querele. Ma i supremi giudici, spezzando ancora una volta una lancia in favore di Fiorillo – e della scelta di esternare ai media la sua versione dei fatti, in assenza di immediati atti a tutela, pur da lei sollecitati – osservano che “non può tacersi che nell’attuale società mediatica l’opinione pubblica tende ad assumere come veri i fatti rappresentati dai media, se non immediatamente contestati: la verità mediatica, cioè quella raccontata dai media, si sovrappone, infatti, alla verità storica e si fissa nella memoria collettiva con un irrecuperabile danno all’onore”.

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