Ci hanno provato gli scienziati della Johns Hopkins University, ma i farmaci che speravano avrebbero ‘risvegliato’ serbatoi dormienti di Hiv all’interno delle cellule T del sistema immunitario – una strategia messa a punto per invertire la latenza e rendere le cellule vulnerabili alla distruzione – non sono riusciti nell’impresa.

I composti non hanno superato le prove di laboratorio su alcuni globuli bianchi prelevati direttamente da pazienti infetti. “Nonostante le nostre grandi speranze, nessuno dei composti che abbiamo testato su cellule infettate dall’Hiv ha attivato il virus latente”, dice Robert F. Siliciano, professore di medicina alla Johns Hopkins University School of Medicine a ricercatore dell’Howard Hughes Medical Institute. Siciliano è l’autore senior di un rapporto sui risultati deludenti dello studio, pubblicato online su Nature Medicine.

L’idea accarezzata dagli esperti era che un singolo agente ‘invertitore’ di latenza avrebbe permesso di ‘stanare’ l’Hiv che si nasconde nelle cellule di pazienti, in cui la carica virale è essenzialmente non rilevabile con esami del sangue. Mentre è inattivo, l’Hiv dormiente si nasconde nelle cellule, ma non si replica nelle quantità necessarie per produrre proteine che possono essere riconosciute dalle difese dell’organismo. Senza questo riconoscimento, il sistema immunitario non può eliminare l’ultimo residuo di Hiv dal corpo. E l’attuale trattamento con antiretrovirali (HAART) non ha come obiettivo l’Hiv dormiente.

Gli studi hanno da tempo dimostrato che questi piccoli serbatoi possono essere riaccesi se un paziente smette di prendere i farmaci, un fenomeno che ha dimostrato di essere il principale ostacolo a una cura. Modelli di laboratorio di cellule infettate da Hiv latente avevano suggerito che alcuni composti potevano invertire la latenza e risvegliare le cellule infette quel tanto che basta per renderle vulnerabili all’eradicazione, spiega lo scienziato.

L’obiettivo del nuovo studio è stato quello di confrontare i vari agenti che mettono la retromarcia alla latenza, retromarcia sulle cellule prelevate dai pazienti, attaccati a una macchina che separava i globuli bianchi reimmettendo nel loro organismo solo quelli rossi. “La sorpresa è stata che nessuno di questi in realtà ha funzionato”, conclude il ricercatore Greg Laird, coautore dello studio. Gli scienziati non si arrendono, e il prossimo passo sarà quello di studiare i farmaci in combinazione. Non solo: Laird spiega che gli esperimenti hanno portato a sviluppare test più sensibili per testare la riattivazione del virus. Non tutto il lavoro, dunque, finirà cestinato.

L’articolo su Nature

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