Per la morte di Giuseppe Campaniello non c’è stata istigazione al suicidio. E’ stato archiviato il fascicolo contro ignoti aperto dalla Procura di Bologna nell’aprile 2012, pochi giorni dopo la morte dell’artigiano edile che il 28 marzo di due anni fa, oberato dai debiti, si tolse la vita dandosi fuoco davanti alla sede dell’Agenzia delle Entrate. Il procedimento era stato avviato dal sostituto procuratore Massimiliano Rossi, un’iscrizione ‘tecnica’ per consentire di compiere eventuali accertamenti sul suicidio di Campaniello, avvalendosi di un più ampio spettro di strumenti investigativi, come ad esempio le perquisizioni. Tuttavia le indagini non hanno individuato alcun nome, e il fascicolo è stato chiuso.

A dare avvio all’inchiesta, iniziata quando ancora Campaniello si trovava ricoverato all’ospedale Maggiore di Parma, dove morì il 6 aprile 2012, dopo nove giorni di agonia in seguito alle ustioni riportate su quasi il 100% del corpo, era stata proprio la storia del piccolo artigiano di 58 anni, originario di Villa di Briano, in provincia di Caserta, ma residente da anni a Ozzano dell’Emilia. Una storia che la polizia aveva ricostruito anche grazie alle tre lettere che Campaniello aveva scritto prima di togliersi la vita, poche righe lasciate accanto alla sua vettura, una Fiat Punto bianca distrutta dalle fiamme, indirizzate alla moglie e al Fisco: “Quello che ho fatto l’ho fatto in buona fede, ho sempre pagato le tasse, poco ma sempre. Lasciate in pace mia moglie, lei è una brava donna. Chiedo scusa anche a Voi”. Una storia, insomma, di debiti contratti con lo Stato. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, alla base dell’estremo gesto c’erano le gravissime difficoltà economiche in cui l’artigiano versava, e soprattutto, c’erano i debiti, quelli contratti con l’erario, per una cifra superiore ai 100 mila euro, dovuti a irregolarità fiscali commesse tra il 2005 e il 2007 per via di fatturazioni omesse o ridotte. La stessa mattina in cui si diede alle fiamme, del resto, Campaniello avrebbe dovuto comparire in Tribunale a Bologna per un’accusa di false fatture, una denuncia penale nata parallelamente agli accertamenti fatti dall’Agenzia delle Entrate nei suoi confronti.

Una tenaglia che l’ha perseguitato, racconta la vedova Campaniello, Tiziana Marrone: “Hanno detto che mio marito si è ucciso per i debiti. È vero solo in parte. Si è ammazzato perché non era più un uomo, ma un numero di pratica”. Troppi debiti, quindi, e l’impossibilità di farvi fronte erano stati la miccia per l’estremo gesto. Non l’unico, specie da quando la crisi economica stringe l’Italia in una morsa. La lista delle vittime della crisi, anno dopo anno, si fa sempre più lunga. Come Campaniello anche Edoardo Bongiorno a 61 anni si è ucciso nel suo albergo, a Lipari, chiedendo perdono alla moglie e alla figlia: “Perdonami Dio. Perdonatemi Isabella e Manuela”. E Gianfranco Mazzariol, il ristoratore di Treviso, che a 58 anni si è sparato col suo fucile da caccia perché i debiti l’avevano logorato; o Piero Marchi, che a 48 anni si è impiccato nel retro del suo negozio, a Bologna, lasciando una moglie e due bambine piccole dopo una cartella esattoriale da 27.000 euro. Solo per citarne alcuni. Due anni dopo quel 28 marzo del 2012, è questa la battaglia che Tiziana Marrone, vedova di Campaniello, combatte. Alla fine il fisco non l’ha lasciata stare, come chiedeva il marito, e a dicembre, in seguito ai debiti contratti dall’artigiano, si è vista recapitare una cartella esattoriale da 60 mila euro. Così prevede la legge, è stata la precisazione di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate, per cambiarla serve un intervento dello Stato. “E per questo io combatterò – è la promessa di Tiziana, formulata in un’intervista al Carlino – questa situazione è molto grave, o cambia qualcosa o la gente continuerà a uccidersi. E non si tratta di emulazione o di parole al vento, perché anche io sono arrivata a pensare di farla finita”.

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