“A gennaio ’97 un conservatorio mi offrì una supplenza di 4 mesi. Mi trovai di fronte alla grande decisione: restare in Italia a fare il precario a vita o andare all’estero per tentare di esprimere le mie potenzialità“. Così fece la sua scelta: due settimane dopo comprò un biglietto di sola andata, al check-in imbarcò anche il contrabbasso e si trasferì a Londra: “Avevo risparmi sufficienti per quattro mesi; se non fossi riuscito a combinare qualcosa, me ne sarei dovuto tornare con la coda fra le gambe”. A ripensarci, a Corrado Canonici, 52 anni, di formazione musicista e oggi manager di star internazionali come Keith Emerson, viene da ridere: “E’ la cosa migliore che abbia mai fatto in vita mia”. Perché all’estero ci si va per cercare una vita migliore e l’etichetta del povero emigrato che lascia il paesello e passa la vita a ricordare quanto si stava bene in Italia Corrado la rifiuta, non solo per sé: “Al di là delle lamentele sul clima o sul cibo che non è buono come quello di mamma, la verità è che la maggior parte di noi emigrati sta bene dove sta”.

“Tra la vita e la morte avrei scelto l’America”, cantava Bufalo Bill in una vecchia canzone. Scegliere se restare o partire quando si hanno 35 anni non è facile. E i 35 anni di un ragazzo di oggi non sono quelli di un uomo fatto del 1997, quando Canonici decise che ne aveva avuto abbastanza dell’Italia. “All’epoca avevo già tenuto una master class ad Harvard, ero stato Performer-in-Residence alla New York University, avevo vinto cinque premi internazionali e suonavo da tempo in giro per l’Europa. Però il massimo che l’Italia era riuscita ad offrirmi era stata una supplenza in un conservatorio. All’ennesima offerta ridicola, mi sono domandato: ‘se anche trovassi un lavoro, dove starei meglio, ad Ancona o a Londra?’. Così sono partito: oltre agli amici e agli affetti, non c’era nulla che mi tenesse lì”.

L’Europa Corrado la girava da anni per suonare, i contatti c’erano già: “Appena arrivato organizzai un concerto e invitai alcuni dei nomi che contavano nell’ambiente musicale. A differenza dell’Italia, dove se non sei figlio, fratello o amico di qualcuno non ti rispondono nemmeno, la maggior parte di queste persone vennero a sentirmi e due settimane dopo mi arrivarono quattro proposte. Non mi conosceva nessuno, ma ho cominciato subito a lavorare”. Londra, il teatro ideale per fare il musicista di classica contemporanea prima e il manager poi. “Qualche anno fa ho deciso di diventare agente – continua Corrado – immagina di aprire un’agenzia in Italia: solo per le autorizzazioni servono 4mila euro. Io ne spesi 200, ma oggi ne bastano 30. Poi se guadagni paghi le tasse, altrimenti no”. E i sogni a volte si realizzano: “Keith Emerson era una passione di gioventù, ora sono il suo manager”. E la capitale inglese, anche con la crisi, resta sempre the place to be, il posto giusto: “Dall’Inghilterra si vende al mondo intero, dall’Italia si vende solo in Italia”. Londra, poi, è un piccolo caleidoscopio in cui imparare ad osservare il mondo: “Gente di culture, religioni e colori diversi vivono insieme e nessuno domanda, come in genere fanno gli italiani, ‘da dove vieni davvero?’. Se lo fai, la prima volta ti danno del cretino, la seconda ti denunciano: qui è considerata una cosa razzista. Un’altra differenza: quello che sto dicendo in Italia sarebbe subito etichettato come ‘di sinistra’. Qui nessuno ti domanda che idee politiche hai: qui le idee che esprimi sono tue e alla gente va bene così”.

Corrado ha sposato Li Li, cinese, talento della lirica. Nella capitale si vive bene, anche se la crisi si sente: “Specie dal 2008 la città è più popolata, le code negli ospedali e negli uffici sono più lunghe, la vita costa anche di più. Ma nulla a che vedere con l’Italia: in Inghilterra la vita è comunque più facile”. Chi parte insegue la propria felicità, anche se poi spesso si guarda indietro sospirando di nostalgia. Canonici non è tra questi: “Leggo ovunque della cosiddetta ‘tristezza degli emigranti’, ma è un concetto che non sopporto. Oggi ci si sposta per migliorare, per cercare situazioni e luoghi dove si possa vivere la propria vita nel modo che si è scelto. Quando ho lasciato l’Italia non avevo la valigia di cartone, ma una professionalità di alto livello e la conoscenza della lingua. La verità è che la maggior parte di noi espatriati sta bene dove sta: i progetti che ho realizzato qui, in Italia me li sarei sognati”. Perché, allora, gli italiani all’estero spesso si lamentano? “Forse perché siamo ancorati allo scoglio, gente restia a trasferirsi in una città che dista a cento chilometri per paura di dover rinunciare al pranzo dai parenti la domenica. Eppure l’Italia in passato è stata grande perché gente come Marco Polo e Cristoforo Colombo non sono rimasti fermi a casa loro”.

Articolo Precedente

Clizia, il dottorato e Grenoble: ‘L’Italia mi manca, ma qui ho trovato il mio equilibrio’

next
Articolo Successivo

Museo egizio di Torino, il nuovo direttore è un cervello “di ritorno”

next