La candidatura di Hillary Clinton è “inevitabile”. C’è accordo pressoché completo nella Washington politica sulla candidatura dell’ex-first lady e segretario di Stato alla Casa Bianca. L’inevitabilità della candidatura è diventata ancora più certa dopo l’annuncio da parte di Priorities USA Action di voler fare campagna per la Clinton nel 2016. Il gruppo, una delle più potenti macchine di raccolta di dollari della galassia democratica e progressista, ha già portato 78 milioni nelle casse di Barack Obama nel 2012. La scommessa è quella di fare altrettanto, se possibile ancor di più, per Hillary.

La scelta di Priorities USA è parsa subito molto più di una semplice iniziativa politica. A capo del gruppo c’è infatti Harold M. Ickes, che fu vice-capo staff di Bill Clinton alla Casa Bianca e che conosce molto bene progetti e ambizioni dei Clinton. Priorities USA non è comunque sola nel dare slancio alla candidatura clintoniana. “Ready for Hillary” è un comitato gestito dalla vulcanica ex-governatrice del Michigan, Jennifer Granholm, che raccoglie finanziamenti e organizza serate elettorali pro-Hillary in giro per gli Stati Uniti (le ultime: in un bar gay di Washington e in una sala di Des Moines, Iowa, il primo Stato dove si svolgeranno i caucuses). Tre discorsi della Clinton in California il prossimo aprile, già ampiamente pubblicizzati, hanno ulteriormente rinfocolato le attese per una sua discesa in campo.

“Sarebbe un buon presidente”, ha ammesso l’ex segretario alla Difesa Robert Gates, in questi giorni impegnato in una serie di presentazioni del suo libro di memoirs. Soprattutto, la Clinton gode attualmente di una quasi totale assenza di veri rivali in entrambi i campi. Il democratico Joe Biden, l’attuale vice-presidente, avrà nel 2016 74 anni, un’età da molti giudicata troppo avanzata per un tentativo presidenziale; e soprattutto non sembra godere di particolare rispetto e ammirazione all’interno della Casa Bianca. Il suo ruolo accanto a Obama è stato ridotto a quello di un semplice comprimario. Quanto ai repubblicani, lo sfidante più temibile, il governatore del New Jersey Chris Christie, è coinvolto in una serie di scandali politici che difficilmente gli permetteranno di proporsi alla ribalta presidenziale. Gli altri possibili sfidanti repubblicani – Marco Rubio, Rand Paul, persino Jeb Bush – non sono al momento molto più di un’ipotesi.

L’idea di una semplice “ipotesi” è invece proprio quello che collaboratori e fan di Hillary non vogliono trasmettere. L’obiettivo è rendere la candidatura della Clinton in qualche modo “inevitabile”, necessaria, quasi non ci potesse essere forza capace di contrastare l’ascesa della prima donna alla presidenza degli Stati Uniti. “Penso ci sia tanta gente che si coagula attorno all’entusiasmo per Hillary perché è molto difficile assistere a un fenomeno di questo tipo, soprattutto tre anni prima delle elezioni”, ha spiegato Mitch Stewart, consulente di “Ready for Hillary”. L’idea della “inevitabilità” ha anche fini molto pratici. Serve a bloccare qualsiasi altra candidatura seria in campo democratico e consente di accaparrarsi i finanziatori più ricchi e generosi. Anche la scelta dei collaboratori va in questa direzione. Co-presidente di “Priorities USA” è diventato Jim Messina, che è stato campaign manager di Obama nel 2012 e che ne ha sapientemente orchestrato la rielezione.

Tutto a posto, dunque? Non proprio. La cura del messaggio e di ogni dettaglio – politico, finanziario, mediatico, organizzativo – non cancella la difficoltà dell’impresa. Uno dei rischi maggiori potrebbe essere proprio la tempistica. Mancano due anni all’inizio delle primarie e la candidatura della Clinton è partita presto, forse troppo presto – considerata anche la volubilità della scena politica nell’era di Twitter e del botta e risposta mediatico continuo. Un altro ostacolo potrebbe essere la schiera di amici e collaboratori di cui Hillary e Bill si sono circondati negli ultimi quarant’anni. Dallo scandalo Whitewater con Jim e Susan McDougal in poi, la famiglia Clinton ha spesso coltivato amicizie pericolose, che potrebbero diventare imbarazzanti in una campagna presidenziale. Il recente affaire dell’assalto alla sede consolare USA di Bengasi, con l’accusa di non aver fornito protezione adeguata all’ambasciatore Stevens, potrebbe rivelarsi un ulteriore intoppo nell’ascesa “inevitabile” della Clinton.

“Hillary sarebbe un buon presidente”, ha detto Robert Gates che però, nel suo libro di ricordi, ha scritto perfidamente che la Clinton nel 2006 si oppose all’aumento di truppe in Iraq per ragioni di “interesse elettorale”. Come a dire che la prima possibile donna presidente degli Stati Uniti mancherebbe dell’integrità politica e morale per il ruolo. Una prova ulteriore, se ce ne fosse bisogno, che Hillary può essere ready, pronta, ma che la sua strada verso la Casa Bianca è lunga e difficile.

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