Fabrizio Saccomanni dà il via alle danze, annunciando i primi dettagli del tanto atteso piano di privatizzazioni con cui lo Stato punta a fare cassa. “Al consiglio dei ministri di domani ci sarà il decreto privatizzazioni: si comincia con il 40% di Poste Italiane, poi vediamo”, ha detto il ministro dell’Economia parlando con i giornalisti a margine del World economic forum di Davos. Inizia così dalle Poste, che alla fine del 2013 sono state preziose per salvare con 75 milioni di euro quel che resta di Alitaliail piano da 12 miliardi annunciato alla fine di novembre dal premier Enrico Letta, che indicava inizialmente la vendita di una quota di controllo di Sace e Grandi stazioni, poi quote non di maggioranza di Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti, il gasdotto Tag e un 3% di Eni.

Il viceministro allo Sviluppo economico, Antonio Catricalà, aveva già fatto sapere nei giorni scorsi che “è immaginabile un periodo tra i cinque e i sei mesi per definire i dettagli” della privatizzazione delle Poste, sottolineando che “le decisioni sono ormai assunte e sono relative ad una messa sul mercato non di asset ma di una quota della società”. Le intenzioni del governo sono di non cedere il controllo di Poste, con la maggioranza del capitale che dovrebbe quindi rimanere allo Stato. L’esecutivo punta così a incassare entro fine anno una cifra che, secondo stime prudenziali, è di circa 4 miliardi di euro per il 40% del gruppo.

Con il collocamento di Poste Italiane, attualmente interamente controllata dallo Stato italiano, il governo vuole replicare il modello di altre privatizzazioni dei servizi postali a livello europeo. Ultima in ordine di tempo è stata Royal Mail, le poste britanniche, che ha permesso al governo inglese di incassare 3 miliardi di sterline dalla cessione di una quota del 33%. Deutsche Post, le poste tedesche, risultano invece quotate dal 2000 con quota detenuta dallo Stato progressivamente scesa fino al 21% attuale e una capitalizzazione di mercato di oltre 31 miliardi di euro.

Non mancano però le critiche al piano del governo. “Scelta Civica non è convinta di come il governo stia gestendo la privatizzazione delle Poste”, afferma un’interrogazione presentata dai senatori Linda Lanzillotta (moglie di Franco Bassanini, che è presidente della Cassa depositi e prestiti, ovvero l’ente pubblico che gestisce i risparmi postali degli italiani) e Benedetto Della Vedova, che chiede al “governo come intenda evitare che una rendita monopolistica sia trasferita ad eventuali soci privati”.

L’iter delle cessioni delle società partecipate direttamente dallo Stato prevede che le modalità siano determinate con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) da emanare su proposta del ministero dell’Economia (Mef) di concerto con il ministero dello Sviluppo economico. Dopo l’approvazione in consiglio dei ministri, lo schema di decreto viene trasmesso in Parlamento per il parere delle commissioni competenti. La delibera definitiva sul Dpcm ritorna in consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva e viene pubblicata in Gazzetta ufficiale. Intanto il Mef, sulla base del primo schema del Dpcm attiverà gli studi necessari e preparerà la cosiddetta “equity story”. Sempre il dicastero dell’Economia predisporrà gli atti necessari per la presentazione al mercato.

Inoltre, una volta approvato in via definitiva il Dpcm, l’operazione dovrà essere presentata alla Consob e alla Borsa. Per questo iter ci vogliono circa due mesi. Sembra invece improbabile che lo schema di Dpcm contenga accenni alla governance che potrebbe prevedere l’ingresso nel board dei dipendenti cui, sempre secondo le anticipazioni fin qui circolate, dovrebbe essere riservata una quota della società. Poste Italiane, che nel 2012 ha avuto ricavi per oltre 24 miliardi con un utile superiore al miliardo, ha 145mila dipendenti.

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