Inter, Zero Tituli” è l’apertura in prima pagina della Gazzetta dello Sport, che fa il verso al celebre aforisma mourinhano e fa quindi ancor più male. “Inter, flop pure in coppa” apre Tuttosport. Mentre il Corsport si concentra sulle colpe del tecnico e titola: “Mazzarri, che flop!”. Senza coppe europee, a diciotto punti dalla Juve capolista, l’uscita dei nerazzurri ai quarti di Coppa Italia contro l’Udinese, come non accadeva da oltre dieci anni, ai tempi di Cuper, è l’addio a ogni possibile sogno di gloria per il 2014. E non basterà certo una (probabile) qualificazione alla prossima Europa League a salvare l’annata.

“Una stagione di transizione”, s’ostina a chiamarla Mazzarri, ma dopo le fallimentari transizioni di Gasperini, Ranieri e Stramaccioni, al tecnico livornese sul campo era chiesto qualcosa di più dell’immobilismo tattico offerto finora, della snervante attesa del campione che si carichi sulle spalle l’intera squadra. L’anno di passaggio è piuttosto quello societario, ed è qui che Thohir è chiamato a questo punto a fare tabula rasa del passato. Le cronache da Udine raccontano di un’Inter dimessa, raffazzonata, priva di idee, che si sveglia solo dopo il gol subito. E neppure troppo, dato che anche nel finale di partita, a parte sporadici attacchi, la squadra era ordinatamente disposta in doppia fila davanti alla propria area. Come con la Lazio lunedì. E di un Mazzarri che nel dopopartita si lamenta degli arbitri, a ragione o a torto, piuttosto che del gioco costruito dai suoi. Come con la Lazio lunedì.

Un loop continuo, sintomo di una incapacità di trovare vie d’uscita. Ma le cronache da Udine raccontano anche di un Erick Thohir che dall’Indonesia si dice anch’egli furioso con gli arbitri, e deciso a prendere provvedimenti in tal senso. Quando le mosse da fare sarebbero altre. Altrimenti non si spiega l’acquisto del 70% del pacchetto azionario alla ragguardevole cifra di 250 milioni se dopo tre mesi i provvedimenti si riducono a una telefonata intercontinentale al cronista di fiducia per lamentarsi dei pochi rigori a favore. Inseguendo il sogno dello stadio, altri interventi sarebbero ben più urgenti. Anche perché l’impianto di proprietà non è che risolve i problemi, può solo aiutare una società già virtuosa sotto gli altri aspetti. Per esempio si poteva, e si può ancora, fare qualcosa sul mercato dove Nainggolan, belga di origini indonesiane, avrebbe rappresentato quel perfetto trait d’union tra i due emisferi.

E invece l’ha preso la Roma per la non proibitiva cifra di dieci milioni circa. E poi magari avere qualcuno di fiducia a Milano che si occupi della società, a meno di non volersi affidare in toto ai vecchi dirigenti dell’era Moratti: dall’area tecnica di Branca e Ausilio che continua a investire su giocatori che non rendono, all’area amministrativa che ha portato il club nerazzurro a chiudere nel 2013 il terzo bilancio consecutivo con un rosso di 80 milioni, e ad avere debiti finanziari nell’ordine delle centinaia di milioni. Così come Thohir ha bisogno di tempo per ristrutturare la società (capendo come funziona il calcio italiano, conoscendo i suoi uomini e prendendo poi i necessari provvedimenti), così Mazzarri necessita del suo tempo per gli interventi sul campo, dal gioco che ancora latita alla condizione fisica evidentemente deficitaria. E a questo proposito ancora gridano vendetta le lunghissime vacanze invernali concesse al gruppo per non scontentare il potente clan argentino. Basta che non si confondano i due piani di lavoro, usandoli ciascuno come una scusa dietro cui nascondersi. La transizione deve essere la via migliore, non necessariamente la più breve, per passare da uno stato all’altro, non il paravento per giustificare una stagione a che rischia di essere fallimentare, per gli zero tituli e soprattutto per le zero certezze che offre.

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