“Llegó con tres heridas: la del amor, la de la muerte, la de la vida”. Luca è a quattro zampe, il pupazzetto appena regalato si è trasformato in un attimo in un mezzo di locomozione di dubbia foggia, come quasi qualunque oggetto nelle sue mani. Brrrrum, brrrrrum: si avventura sulla collina del divano, accelera nella discesa dello schienale della poltrona e si arresta bruscamente per un tamponamento sul tavolino. Lo guardo così piccolo, così beatamente spensierato e mi tornano in mente i versi di Hernández. Insieme alla vita inoculiamo in loro il seme della morte. Se tutto andrà bene, prima o poi la vecchiaia e la decadenza si mangeranno quelle “guance di spuma”, come diceva Bruno. Modificheranno il corpo, fiaccheranno la vista o la memoria, renderanno malferme quelle gambette scattanti.

Eppure non è questo che mi spaventa di più. Ciò che mi fa tremare al pensiero di quando accadrà è la prima delle tre ferite: quella dell’amore. Me lo vedo ragazzo oppure uomo, grande e grosso eppure fragile e impotente davanti al dolore. La ferita causata dal bene che si vuole a qualcuno, che, per qualche caso della vita, ad tratto ti si ritorce contro, ti sevizia con una violenza pari alla grandezza del sentimento che ci lega alla persona che amiamo.

Penso a quando dovrà ricacciare indietro, dentro di sé, tutto l’amore che prova per qualcuno, che, per qualche motivo, non ci sarà più o non lo vorrà più. Penso alla battaglia contro la buia tirannia della disperazione, che sta in agguato in ogni istante, quando la causa del dolore è il bene che si vuole: qualcosa che sgorga senza sosta e che non può essere ricacciato indietro, se non a prezzo di una irreversibile mutilazione.

Mi chiedo che trucchi dovrei insegnargli per proteggerlo, quando gli si spezzerà il cuore. Quale musica fargli ascoltare, quali poesie fargli leggere perché sappia almeno che è successo ad altri. La bellezza, l’arte lo consoleranno: forse sarà un volto scolpito ad insegnargli che capita a tutti i viventi. O la natura: la talea che ha attecchito gli mostrerà la strada dalla ferita alla rinascita. Sarà la lettura, il silenzio, il contatto con la parte più profonda di sé a fargli accettare che, a volte, la più grande gioia della nostra vita – l’amore che ci lega all’altro – può trasformarsi nell’aculeo più affilato. Con la vita gli ho regalato anche questo. Ma non mi pento.

M. Valeria Valerio
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Il Fatto Quotidiano, 30 dicembre 2013

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Bambinese o parole da grandi?

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