I salotti vincono e il mercato perde. Sembra questo il risultato dell’assemblea dei soci Telecom Italia di ieri a Milano: il finanziere Marco Fossati, forte di un 5 per cento del capitale, aveva chiesto la sfiducia del consiglio di amministrazione, accusato di fare gli interessi di una minoranza dei soci e non di tutta l’azienda.
Cioè di agire nell’interesse di Telefonica e del trio Generali-Intesa-Mediobanca interessato solo a vendere a un prezzo generoso il controllo della holding Telco che, con il 22,4 per cento del capitale, comanda su tutta Telecom.

La revoca del cda è stata respinta per pochissimo, bocciata dal 50,3 per cento dei presenti. Ma i salotti hanno poco da esultare: per vincere i protagonisti hanno palesato gli imbarazzanti (e criminali, sostengono un paio di Procure) legami che tengono unite le frattaglie del capitalismo di relazione: accordi opachi, manager sostituiti senza spiegare il perché, aumenti di capitale mascherati a cui partecipano soltanto alcuni soci, un gigante come il fondo BlackRock ambiguo tra il suo ruolo di azionista di Telefonica e quello di socio Telecom.

E soprattutto c’è il silenzio del governo. Il premier Enrico Letta è stato accusato da Massimo Mucchetti, presidente Pd della Commissione industria al Senato, di aver preso per i fondelli il Parlamento, promettendo un decreto che avrebbe dovuto imporre agli spagnoli di comprare le azioni Telecom anche dai piccoli azionisti e non solo dalle banche. E’ chiaro che preferisce il sostegno dei salotti a quello degli elettori.

Il segretario del Pd Renzi si scandalizza per la privatizzazione Telecom nel 1999, ma non trova il tempo di dire qualcosa sul presente. Silvio Berlusconi, intanto, prepara affari tra Telefonica e Mediaset in Spagna. Il salotto buono ha vinto la battaglia, ma la politica, e l’Italia, stanno perdendo la guerra. 

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