Non una vera e propria rete organizzata, ma un mercato della droga che negli ultimi mesi si è fatto piuttosto vivace e gestito da personaggi “di spicco” nella microcriminalità locale. Per sgominarlo, tra l’altro, è stata piazzata una cimice su uno scooter, parcheggiato ad hoc, dove i pusher si sono seduti per gestire le consegne al dettaglio e dove qualcuno di loro un giorno si è scordato un panetto di eroina. La maggior parte degli spacciatori risiedeva tra le baracche del porto canale di Rimini: qualcuno di loro, per spostarsi negli angoli dove la droga era imboscata, non ha avuto scrupoli nel farsi scudo di minori con la scusa di andare a prendere un gelato insieme. Sono alcuni dei dettagli della maxi retata antidroga nel cuore della città romagnola grazie alla sinergia tra Procura e Comune. Il tutto nell’ambito di un’operazione che, di queste dimensioni, per la prima volta viene eseguita in Italia dalla polizia municipale.

Sono state 53 le ordinanze di custodia in carcere emesse per falciare lo smercio di droga a Borgo Marina, nel cuore di Rimini, dove da mesi residenti e commercianti (anche e soprattutto stranieri, tra i quali alcuni hanno denunciato di aver subito minacciato) si lamentano per il degrado che caratterizza l’area. L’inchiesta, nominata “Kebab connection”, ha impegnato per ore 106 operatori tra ufficiali e vigili urbani per accompagnare in carcere quasi tutti gli indiziati sottoposti al provvedimento. Oltre agli arresti è stata disposta anche la chiusura di due kebabbari in via dei Mille e in piazzale Battisti.

Le indagini sono partite a maggio, sulla base di alcune “soffiate” degli stessi tossicodipendenti, e sono proseguite per tutta l’estate (106 i sequestri nei confronti degli acquirenti oltre a quelli contro gli spacciatori). I risultati dell’operazione sono stati presentati dall’assessore alla Sicurezza Jamil Sadegholvaad, dal comandante della polizia municipale Vasco Talenti e del suo ispettore capo Carla Tavella, i cui agenti sono stati coordinati dal procuratore capo di Rimini Paolo Giovagnoli e del sostituto Marino Cerioni.

Decisive per le indagini, cui ha collaborato anche la Polizia provinciale, sono state le telecamere posizionate al borgo: prima hanno permesso di scovare lo spaccio, poi, una volta ottenuto il mandato della magistratura, hanno consentito analisi più approfondite. Ne sono scaturite ben 43.200 ore di registrazioni video e 9.500 di registrazioni ambientali audio, che hanno ripreso oltre 640 episodi di spaccio fornendo la base per l’emissione dei provvedimenti giudiziari nei confronti di 35 cittadini tunisini, 7 marocchini, 2 senegalesi, 4 del Bangladesh e, uno ciascuno, di Egitto, Polonia, Pakistan, Romania, Palestina (tre le donne). Una trentina di loro non era in regola col permesso di soggiorno. Tra i fermati in flagranza un pusher che aveva con sé un panetto di eroina da 500 grammi. “Non posso che ringraziare la nostra polizia municipale – dice il sindaco Andrea Gnassi (Pd) – e complimentarmi per questa operazione così imponente, che ha portato a ben 53 ordinanze di custodia cautelare per spaccio di droga e altri reati. Un segnale forte di contrasto ad un fenomeno complesso, difficile da sradicare, a cui però questa impegnativa operazione ha assestato un bel colpo”. L’assessore Sadegholvaad sottolinea come la moschea locale non c’entri niente. Peraltro in uno dei filmati si vede una persona uscire dal luogo di culto e lamentarsi con un pusher, che in risposta lo minaccia con una bottiglia rotta: “Siamo ambiziosi, ma non così tanto da credere di aver risolto i problemi della città – dice l’assessore alla Sicurezza – La guardia continuerà a rimanere alta ma oggi vogliamo ringraziare tutti i nostri uomini, ed anche quelli della Polizia provinciale che in queste ore ci hanno coadiuvato, che con abnegazione si sono impegnati così profondamente in un’operazione che, per dimensioni, è la prima volta che viene eseguita in Italia dalla Polizia municipale”.

 

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