Trova le differenze. Ivan Mura, 44 anni, è dottore in informatica e docente ordinario di una prestigiosa università a Bogotà. Per arrivare a questo lavoro, ha investito del tempo dall’Italia: colloqui via skype, un biglietto aereo, una settimana di prove didattiche in Colombia e un periodo di prova con lezioni tenute a distanza (il tutto, viaggio compreso, a spese dell’università in cui si candidava). Ha ottenuto il posto in piena trasparenza, rispondendo ad un annuncio online.

Ora facciamo qualche passo indietro. Prima di tentare questa carta, Ivan è passato per le forche caudine dell’università pubblica italiana. Ed ecco cosa si è trovato davanti: “Durante un colloquio informale, fu chiesto qualcosa che esulava dalle normali attività accademiche. In quel periodo lavoravo per una grossa impresa di tecnologie, e mi è stato chiesto se fosse possibile far aprire una sede dell’azienda in quella città. In tal caso, avrebbero indetto un concorso ad hoc per darmi il posto. Insomma, non proprio una cosa che scrivi fra i requisiti per la selezione di un concorso pubblico”. In passato Ivan aveva già avuto a che fare con il mondo accademico, quindi la richiesta non l’ha offeso: “Ho fatto un dottorato a Pisa, poi ho continuato a collaborare con le università facendo ricerca. Ho conosciuto le logiche alle quali i professori devono sottostare per fare carriera, quindi la richiesta non mi ha particolarmente amareggiato. Mi ha però stupito che me lo chiedessero così, senza nessun pudore”.

Ivan sceglie di cambiare rotta. L’ipotesi della Colombia fa capolino, ma non è una novità per la sua famiglia: sua moglie ci aveva già vissuto per due anni quando lavorava per l’Organizzazione degli Stati Americani, e lui era andato a trovarla sette volte. “La Colombia è un paese molto dinamico, bellissimo e poco conosciuto in Italia. Ci siamo trasferiti nel luglio dello scorso anno, trovare lavoro è stato facile per entrambi. Nostra figlia di quattro anni va a scuola qui, ci troviamo bene”. Eppure, ammette Ivan, invecchiare in Italia “magari vicino al mare” è una prospettiva allettante. “Non pensiamo però di tornare a breve, con dispiacere delle nostre famiglie, che naturalmente ci vorrebbero più vicino. In realtà, stiamo piuttosto valutando l’eventualità di trasferirci per un periodo negli Stati Uniti”.

L’università dove Ivan insegna è privata ed orientata alla formazione di imprenditori. L’approcio verso gli studenti è completamente diverso dal modello italiano: ci sono corsi notturni per incentivare la frequenza dei lavoratori, corsi virtuali, finanziamenti e borse di studio. “La Colombia è un paese in crescita, non ci sono i grandi finanziamenti dei progetti europei, ma sull’educazione si investe molto. Investe lo Stato e investono le famiglie, anche quelle in difficoltà. L’università pubblica è di buon livello, e anche nelle università di nicchia come la mia ci sono formule di aiuto agli studenti. Per esempio, se pubblichi, segui determinati corsi o lavori nell’università, hai diritto a sconti sostanziosi sull’immatricolazione. Noi docenti a contratto indeterminato siamo sottoposti a valutazioni annuali a 360 gradi. Ci valutano i dipartimenti, il decano, gli studenti, tutti. Da questo possono dipendere l’aumento di stipendio, così come il licenziamento. C’è una mobilità stimolante. In Italia invece il sistema è fossilizzato”.

Eppure, il livello di preparazione di chi esce dall’università italiana è buono. “C’è però un problema nell’attitudine degli studenti italiani – dice Ivan – c’è poca dinamicità in chi ha le competenze. Inventarsi il proprio lavoro, cambiare, è come fare salto nel buio. Eppure vivere in contesti diversi rompe degli schemi mentali che non sospettavi neppure di avere”. Va bene, le differenze le abbiamo trovate. Ma Ivan vuole aggiungere qualcosa: “Nella mia università ci sono altri due connazionali, insegnano italiano. Qui cercano sempre persone con un titolo di dottorato, o almeno una specializzazione. C’è posto, ci sono possibilità fuori dall’Italia. Bisogna soltanto lasciarsi alle spalle l’inerzia”.

Articolo Precedente

Italiani all’estero: la via dell’espatrio è lastricata anche di insuccessi

next
Articolo Successivo

“Dall’Erasmus mi sono trasferita a Parigi. Ora aiuto gli italiani a vivere qui”

next