Il 4 dicembre si apriranno le elezioni per nominare il governo locale di New Delhi, prove generali per la tornata elettorale nazionale prevista per la prossima primavera. I dodici milioni di iscritti alle liste elettorali si recheranno alle urne per tre giorni, in una corsa al potere che secondo la stampa nazionale vede un testa a testa tra le due principali formazioni politiche in India: l’Indian National Congress (Inc) – al governo anche a livello nazionale – che ricandiderà l’attuale chief minister Sheila Dikshit (al centro di polemiche sulla sicurezza delle donne in seguito allo stupro di una studentessa di Delhi quasi un anno fa) e il Bharatiya Janata Party (Bjp), formazione nazionalista hindu che ha deciso di presentarsi con Harsh Vardhan, politico di lungo corso della capitale proveniente dagli ambienti dell’estremismo hindu del Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss).

Ordinaria amministrazione, quindi, se quest’anno non ci fosse l’esordio alle urne del nuovo movimento politico “dal basso” sorto da una costola della mobilitazione anticorruzione degli anni scorsi guidata da Anna Hazare. L’Aam Aadmi Party (Aap, il “partito dell’uomo comune”), svincolandosi dall’entusiasmante stagione di attivismo guidata da Anna-ji, ha deciso di fare il grande salto andando a competere nella giungla della politica indiana.

Il candidato dell’Aap è Arvind Kejriwal, leader incontrastato del movimento, celebre per i suoi j’accuse in diretta tv contro la malapolitica nazionale. Arringhe condotte con vigore, documenti alla mano, che hanno smascherato, nel tempo e trasversalmente nell’arco parlamentare, numerosi episodi di corruzione, il male atavico che impedisce alla democrazia indiana quel salto di qualità necessario per fregiarsi a pieno diritto del titolo di superpotenza economica.

Confrontandosi con altre formazioni politiche decisamente radicate sul territorio, Kejriwal e i suoi hanno fatto dell’attivismo online il proprio cavallo di battaglia: alternando campagne su Facebook e Twitter a impressionanti manifestazioni di piazza. Secondo i sondaggi interni Aap sarebbe addirittura il primo partito a New Delhi, vicino al 30 per cento delle preferenze. Probabilmente le previsioni interne sono fin troppo rosee, ma è un dato che l’avanzata della società civile fattasi partito spaventa l’establishment nazionale.

Nel manifesto elettorale divulgato due settimane fa Aap promette di concentrarsi su tematiche molto sentite dall’opinione pubblica, pochi punti ma ad effetto: legge anticorruzione per il parlamentino locale, riduzione degli sprechi e taglio delle bollette elettriche del 50 per cento, sviluppo di infrastrutture per l’acqua pubblica, riqualifica degli slum previa consultazione con gli abitanti, che non saranno cacciati finché – insieme – non si troverà una sistemazione congrua. In fondo al programma rimangono comunque le macrotematiche tipiche della politica indiana (sanità, occupazione, ambiente, sicurezza…) ma Aap sa che l’unica speranza davanti agli elettori indiani – frustrati da anni di inazione politica e fiaccati dai contraccolpi della crisi economica – è presentarsi come qualcosa di completamente diverso, dare l’opportunità di poter votare facce nuove e promettenti, libere dal pregiudizio di corruzione e dalle alchimie di Palazzo che contraddistinguono tutti i “politici di professione”.

Tuttavia, secondo i detrattori, Aap verosimilmente potrebbe arrivare al massimo al 10 per cento delle preferenze. Comunque vada, il prossimo 8 dicembre per il movimento sarà un battesimo del fuoco, un primo passo per entrare a pieno titolo nell’algebra del potere della più grande democrazia del mondo.

di Matteo Miavaldi

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