Ha visitato decine di discariche pericolosissime il sostituto commissario Roberto Mancini. E’ sceso nel ventre delle miniere di sale in Germania, ha percorso metro per metro i luoghi dell’orrore in provincia di Caserta, ha seguito i percorsi dei camion carichi di veleni del nord Italia spediti verso la terra dei fuochi. Ed ha pagato un prezzo altissimo: un tumore direttamente collegato con la contaminazione da sostanze pericolose. Se oggi i pm della Dda di Napoli riescono ad ottenere la storica sentenza di condanna a vent’anni per disastro ambientale nei confronti di Domenico Bidognetti, alias “Cicciotto ‘e mezzanotte”, lo devono anche a lui. Testardo, meticoloso, idealista. Per anni ha inseguito il re della monnezza, il vero mago delle leggi e delle autorizzazioni farlocche, Cipriano Chianese; ha ricostruito i contatti massonici, gli ordini che arrivavano dalle industrie con nomi importanti e quella rete estesa di broker e trasportatori. Lavoro poi confluito in una informativa chiave del 1996.

Oggi Roberto Mancini ha davanti a se un’altra importante battaglia. La sua malattia – già riconosciuta come legata al suo servizio per lo Stato – è stata valutata appena cinquemila euro. Non solo. Dal 1997 al 2001 ha prestato servizio per la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, diretta – all’epoca – da Massimo Scalia. E’ la stessa commissione che ascoltò a lungo Carmine Schiavone, secretando poi i verbali. “Per quella commissione ho fatto decine di sopralluoghi nei posti più pericolosi – racconta oggi al fattoquotidiano.it – entrando in contatto con le scorie sversate dalla camorra e dalle industrie chimiche. Ho visitato le centrale nucleari italiane, in Germania siamo scesi oltre 100 metri sotto terra dove avevano interrato rifiuti pericolosi, con appena una mascherina come protezione”. E, secondo il suo racconto, le conseguenze non hanno colpito solo lui: “L’altra persona che mi accompagnava sempre nelle missioni era il consigliere parlamentare Alessandro Scacco che seguiva la commissione. Subito dopo la chiusura dei lavori della commissione è morto di tumore”.

Roberto Mancini ha deciso di chiedere un risarcimento alla Camera dei deputati, per se e per la sua famiglia. E qui è iniziato un vero percorso ad ostacoli. Prima l’avvocatura gli risposto che lui non era un dipendente, visto che prestava servizio a titolo gratuito. Quando gli avvocati del poliziotto hanno mostrato gli estratti dei Cud, la risposta è stata decisamente bizantina: quei soldi venivano corrisposti come emolumento dall’Ispettorato di polizia della Camera dei deputati e non dalla Commissione. Insomma, per il parlamento Roberto Mancini non ha diritto a nessun risarcimento: “Ho deciso di contattare il presidente Laura Boldrini – racconta Mancini al Fatto – ma la risposta che ho ottenuto è stata ‘Non ci posso fare nulla’”. La richiesta di andare a prestare servizio presso la Camera dei deputati – ricorda oggi – “arrivò direttamente dal presidente Massimo Scalia. Era chiaro a tutti per chi stavo prestando la mia consulenza”. Ora Roberto sta lottando contro il tumore, affrontando una lunga degenza per il trapianto del midollo. Continua a rimanere in servizio, nel commissariato di San Lorenzo a Roma. Nel cassetto della sua scrivania conserva con cura le 250 pagine di informativa su Cipriano Chianese. Un pezzo della storia dei grandi traffici di rifiuti. Quest’anno, nonostante la malattia, ha aiutato la procura napoletana riascoltando ore e ore di intercettazioni, annotando nomi, società, percorsi. Un pezzo di stato che ancora mostra dignità. 

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