Il crowdfunding sbarca in Medio Oriente. Si chiama Zoomaal ed è una nuova start-up fondata da Abdallah Abdi, 21enne libanese il cui desiderio di vedere un mondo arabo “più dinamico, meno dipendente dagli aiuti di Stato e proiettato verso il futuro”. E consente di finanziare progetti per cui difficilmente si riesce a trovare sostegno, anche a causa di in un sistema bancario generalmente restio al credito alle piccole medie imprese (SME). Zoomaal è molto simile a Kickstarter, la più nota piattaforma americana all’origine di quella che è ormai la sempre più diffusa pratica della ricerca di finanziamenti via web. Il processo è semplice: una persona che ha un’idea da sviluppare la presenta sul sito, spiega nei dettagli come intende realizzarla, quanti soldi sta cercando di raccogliere e come ha intenzione di utilizzarli. Una volta online è tutto nelle mani dei visitatori che, se convinti, decidono di mettere mano al portafogli e finanziare l’iniziativa. In cambio ricevono un premio simbolico dall’ideatore (esempio: una copia firmata del libro che intende pubblicare) o, nel caso il progetto abbia dimensioni maggiori, una piccola partecipazione nella futura società.

L’esempio più famoso di progetto crowdfunded è forse lo smart-watch Pebble, un orologio digitale dallo schermo piatto e il design minimale che attraverso Kickstarter ha raccolto 10 milioni di dollari da 85 mila donatori oltre ad essere stato preordinato da oltre 275 mila persone. I numeri di Zoomaal e più in generale del Medio Oriente, però, sono al momento molto lontani da quelli degli Stati Uniti. La principale limitazione della regione è una bassa cultura dell’innovazione e dell’impresa e un rapporto tra spesa pubblica e Pil tra i più alti del mondo. Per farsi un’idea basta pensare che nella maggior parte dei paesi arabi in Medio Oriente il settore pubblico impiega fino al 40 per cento della popolazione, mentre negli Stati Uniti la percentuale non arriva al 14 e in Giappone è sotto il 5. Differenze percentuali che portano con sé tutti i problemi di una burocrazia invasiva e, spesso, oppressiva.

“Per molti giovani in Medio Oriente trovare un pubblico impiego rappresenta ancora la massima aspirazione. Al contrario, le persone che rischiano per provare a costruire qualcosa di proprio sono davvero molto poche”, dice al Fattoquotidiano.it Helen Serhan, community manager di Zoomaal. Non tutto nella regione è però negativo. Sempre secondo Abdi, lo status quo sta lentamente cambiando. Un fatto dovuto all’età della popolazione, composta per il 60 per cento da under 30, e la primavera araba, con le sue richieste di maggiori libertà personali e forme di governo meno autoritarie. Richard Thornton, 27 anni, residente di Beirut, racconta al fattoquotidiano.it come ha finanziato il suo pezzo teatrale Make Me grazie a Zoomaal: “In Libano c’è pochissimo aiuto statale per il settore culturale. All’inizio ero dispiaciuto, poi mi sono detto: ‘Ok, è l’occasione di fare da solo, il momento di non piangersi addosso’. Mi sono dunque messo alla ricerca di modi alternativi per trovare fondi, ho scoperto Zoomaal e ho lanciato la campagna di crowdfunding”.

Per essere uno dei primi progetti ospitati dalla piattaforma araba, la risposta è stata migliore del previsto e in poco tempo Make Me ha raggiunto i duemila dollari necessari a pagare attori, spazio e luci. Un altro progetto di successo è stato quello della band locale Mashrou Leila che grazie a Zoomaal ha raccolto 80 mila dollari e finanziato la registrazione di “Raskut”, il loro terzo album. Oltre ai benefici per chi nel mondo arabo ha idee creative e progetti, Zoomaal è il segno di una regione che cambia. E di giovani disposti a mettersi in gioco.

Articolo Precedente

Batman Arkham Origins, il videogioco che esplora la giovinezza del Cavaliere Oscuro

next
Articolo Successivo

iPhone 5C, “Apple ferma produzione. Troppi difetti e piace poco”

next