“Diritto a essere madri sì, cure per la fertilità pure. Ma solo come Dio comanda. Parola di governo spagnolo”. L’ironia arriva dalla pagina Facebook di Elena Valenciano, la numero due del Partito socialista iberico. Perché la sanità pubblica ha deciso di riservare i trattamenti di riproduzione assistita – come la fecondazione in vitro o l’inseminazione artificiale – solo alle famiglie tradizionali, causa “priorità”. Insomma solo “coppie formate da uomo e donna”, riporta nero su bianco la proposta di Ana Mato, ministro della Salute, che approda sul tavolo del Consiglio Stato-Regioni.

Il motivo ufficiale è sempre lo stesso: le casse pubbliche, nonostante i continui tagli, peggiorano. Ma la conseguenza è una vera discriminazione di base, “una ragione puramente ideologica” ha assicurato il segretario generale del Psoe Alfredo Pérez Rubalcaba, che ha tacciato la proposta come “incostituzionale e discriminatoria”, in attesa delle spiegazioni in Aula del ministro Mato.

Insomma diritto alla maternità sì, ma non per le donne sole o le coppie lesbiche. Almeno non con il supporto del servizio sanitario pubblico. “Sono ben viste solo le famiglie eterosessuali. Se una famiglia monoparentale o omogenitoriale vuole avere un bambino ci dicono che quello è solo un capriccio e che dobbiamo arrangiarci”, comenta amara Mariluz Vázquez, dell’associazione “Madri single per scelta”. Vázquez racconta come i costi del trattamento in una clinica privata non sono certo accessibili a tutti: “Un’inseminazione artificiale sfiora i 1500 euro a tentativo, e una fecondazione in vitro oscilla dai 4mila ai 6mila euro. È una discriminazione: noi dovremmo avere gli stessi diritti di tutti i cittadini, e questo significa anche l’accesso a prestazioni mediche di questo tipo”.

Secondo l’attuale normativa – nel Real decreto del 2006 – la sanità pubblica può intervenire in caso di sterilità o di “specifiche condizioni cliniche”. Ed è per questo che alcune regioni hanno da sempre incluso anche le donne single o le coppie lesbiche, magari non sterili ma che non possono concepire un figlio per, appunto, “specifiche condizioni”.

La proposta del ministero della Salute però impone ulteriori criteri: la donna non deve superare i 40 anni (per l’inseminazione artificiale i 38) e l’uomo i 50. In più la coppia non deve avere avuto in comune nessuno figlio sano. Inoltre, se uno dei due partner ha scelto in passato di sottoporsi a un processo di sterilizzazione o ha qualche problema sociale o di salute, sarà automaticamente escluso dalla lista d’attesa. Nel documento inviato alle comunità autonome, si legge anche che la sterilità è definita come “l’assenza di gravidanza dopo 12 mesi di relazioni sessuali con coito vaginale senza l’uso di contraccettivi”. Una definizione che, bando alle ciance, obbliga le lesbiche ad avere relazioni con uomini. E le single a trovarsi un compagno, almeno nell’atto del concepimento.

Senza contare poi che, al di là della discriminazione di genere, la proposta del governo entrerebbe in conflitto anche in materia legislativa, almeno secondo il parere di diversi costituzionalisti: in Spagna il concetto di famiglia non è più legato alla coppia tradizionale e, con l’approvazione del matrimonio gay, è stato riconosciuto e garantito dalla Corte Costituzionale. Sarebbe, insomma, come fare un passo indietro.

La polemica ha tirato in ballo anche la federazione Lgbt spagnola: “Il governo torna ad avere una visione monolitica di quella che è una famiglia”, dicono indignati in un comunicato. “Se il problema è limitare la fecondazione assistita per mancanza di fondi, come dice il ministro, la selezione dovrebbe basarsi sul reddito o su altri requisiti, non certo sul tipo di famiglia che vuole accedere al trattamento”.

@si_ragu

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