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Elezioni amministrative 2013 – Il trionfo del M5S e la crisi del Pdmenoelle

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Come scrive il blog di Beppe Grillo, «il cammino del MoVimento 5 Stelle all’interno delle istituzioni è lento ma inesorabile». L’M5S ha infatti conquistato due dei tre comuni in cui è andato al ballottaggio: ha vinto a Pomezia (Roma), dove è diventato sindaco Fabio Fucci, e ad Assemini (Cagliari), dove primo cittadino sarà Mario Puddu. Unico incidente di percorso l’insuccesso di Antonio Santoliquido, candidato a Martellago, dalle parti di Venezia, fermatosi al 31,9% contro il 68,1%, della candidata del Pdmenoelle, Monica Barbiero, appoggiata dalla stampa nazionale, dalle banche e dalla Quinta flotta americana nel Pacifico.

I parlamentari grillini – senza differenze fra minacciati di espulsione, sottoposti alla gogna mediatica e bacchettati sulle dita – hanno esultato per la vittoria. «Pomezia ed Assemini: Comuni a 5 Stelle!“, scrive su Facebook il deputato Alessio Villarosa. La deputata Emanuela Corda invece commenta: «È storia ad Assemini, unico comune sardo a 5 stelle. Assemini come Parma, Mario Puddu come Pizzarotti! Tutti a casa!». Questi trionfi, in effetti, non solo smentiscono i giuda traditori che hanno abbandonato il MoVimento al solo fine di tenersi gli stipendi da parlamentari, e che già banchettavano a pizza e fichi, ma soprattutto mettono definitivamente a tacere i falsi amici, come Andrea Scanzi, Pippo Civati e – ultimo, e meno importante – il sottoscritto.

Come sempre, vince la strategia di Beppe: candidare perfetti sconosciuti, insultare gli avversari, soprattutto minacciare i giornalisti, i dissidenti e gli ex candidati Presidenti della Repubblica. Ormai è chiaro che la profezia di Casaleggio sta per avverarsi: ancora pochi secoli, e i Cinque Stelle avranno il cento per cento dei voti, forse anche qualcosa di più. Dinanzi al trionfo, ancora più catastrofico appare il bilancio elettorale del Pdmenoelle: già costretto a governare il paese, dilaniato dalle faide interne e travolto dagli scandali, stavolta ha dovuto accontentarsi di sedici comuni capoluogo di provincia su sedici, fra i quali spicca per irrilevanza una cittadina decaduta del Lazio, che qualcuno si intestardisce a chiamare Roma.

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