Gent.ma redazione del il Fatto Quotiano,
torno a scrivervi, senza sapere neppure io bene perché… lo sto facendo con carta e penna, poi trascriverò il tutto. Lo faccio perché mi avete già risposto, perché ho capito che oltre questo schermo ci sono persone che ascoltano, leggono, esistono.

Sono una ragazza di 34 anni, e avevo poca fiducia nel mio Paese: mai mi sono interessata di politica, credendola troppo lontana da me.
Mi sento una “letterata“, nel senso più profondo e meno superficiale del termine: vale a dire, per la società contemporanea, una disadattata, che vive di poesia e bellezza. Niente, dunque, che abbia a che fare con la quotidianità.

Questo mi ha creato molti problemi, nel momento in cui ho deciso di far parte del mondo. Per una come me, che crede nei sogni e nella forza delle parole, lo sapete, in italia non c’è posto, non più. Anche se penso che un tempo l’Italia è stata questo: i sogni iperbolici di uomini improbabili.
Un giorno, ho incontrato una persona che mi ha incoraggiata a scrivere, proprio me, che avevo abbandonato il sogno di farlo. Lui però mi ha detto che dovevo, che era importante.
Lui non c’entrava con me, è un imprenditore edile, nella cui azienda poi ho svolto una borsa di studio, e successivamente sono rimasta a collaborare.
Io non c’entro molto con il luogo in cui lavoro: non sono un architetto, né un tecnico, né un ingegnere. Sono una che sa scrivere bene in italiano, ma non so quanto riesco ad esprimere, o condividere. Ma la persona che mi ha voluta nella sua azienda crede nelle competenze diversificate, nel lavoro condiviso ed espletato nelle sue diversità. Ha creduto in me, anche se non ero affar suo.

Oggi, la ditta di cui ho sposato la causa versa in gravi difficoltà, a causa dell’incompetenza di un governo che non tutela chi lavora, e di chi  fornisce lavoro, ma bada solo agli interessi dei privilegiati.

Vedo ogni giorno il sistema nel quale, dopo tutto, e nonostante tutto, ho creduto, cedere sotto i colpi della stupidità e dell’incompetenza. Non voglio nemmeno pensare ad una volontaria e caparbia volontà di distruggere un Paese. E non un Paese qualunque: l’Italia, perché io amo l’Italia, ma odio ciò che è diventata. Vedo la persona che mi ha spinta a scrivere, al fine di diffondere l’idea che il lavoro comune può davvero cambiare lo stato delle cose, avvilire e spegnersi, di fronte ad una realtà che, invece di aiutarlo, lo sta facendo fallire: lui, e il suo, il nostro, sogno.

Ho letto di troppi suicidi, per restare a guardare senza fare niente: e io non so fare altro che questo, scrivere. Non so se qualcuno ha ancora voglia, o potere, di raccogliere questo appello: e lo rivolgo a voi, solo perché so che, se lo riterrete opportuno, lo diffonderete.

L’Italia è altro: è sogno, è forza, è coraggio, è volontà di collaborazione. Niente di quello che i media di massa ci dicono può cambiare la nostra anima profonda.
E io prego le persone di buona volontà, e lo so che sono tante, almeno tante quanto i ladri e i disonesti, di non arrendersi.
Uniamoci, e lottiamo per riprenderci il futuro. Se non per noi, per chi verrà.
Se non per noi, per chi non ha creduto che l’Italia sia morta.
Io non ci credo.
Per favore, dimostriamoglielo, insieme, noi: gente di buona volontà.

Cristina Marziali

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