A Patrizia Mirigliani, figlia di Enzo, soldato calabrese in prima linea a El Alamein, viene da ridere. Non indossa l’elmetto perché sostiene sicura, i fuochi all’orizzonte non si trasformeranno in guerra: “Miss Italia non è un format, ma è nel bene e nel male, la storia della bellezza e del costume del Paese negli ultimi 75 anni. Una cosa così non la fermi né la interrompi per una semplice messa in onda. Non finirebbe, per capirci, se improvvisamente Raiuno non decidesse di trasmetterla e se proprio devo dirlo, mi sembra implausibile”.  

Per ora c’è un palinsesto vuoto. Quello in cui la Rai, allo stato, non ha previsto (c’è tempo fino a inizio maggio) il tradizionale appuntamento in video con le fanciulle che dal 1939, tra un cambio di sede e l’altro, invadono immaginario collettivo e pagine di giornale con ritmica regolarità. Mirigliani vorrebbe dare notizie certe: “Ma non le ho e non mi è mai piaciuto discutere di ipotesi. Io so soltanto che la Rai è con noi da 25 anni e che a parlare di costi eccessivi della manifestazione si offre una lettura parziale. Siamo tutti consapevoli che la congiuntura è magra e i tagli sono inevitabili, ma per una volta mi piacerebbe parlare di quanto il concorso fa guadagnare alle aziende che lo accompagnano. Ho letto tante inesattezze e avrei molte cose da dire. Magari la prossima volta, quando i deliri sulla mercificazione femminile addebitata al demone di Miss Italia o i nemici a prescindere decideranno di abbassare la voce”.

Nel tono di Enrico Lucherini, fresco 15enne quando Lucia Bosè, commessa della pasticceria Galli in Milano, via Victor Hugo, decise di evadere da una prospettiva miserabile per vincere il titolo, si intuisce una nostalgia. Il ricordo di un’epoca irripetibile in cui Miss Italia rappresentava molto più di una semplice sfilata: “Era un altro mondo. Il punto di osservazione che da ragazzo mi permetteva di amare le dive. Lucia era la più bella e i pigmalioni di allora più curiosi, coraggiosi e meno snob di quelli di oggi”.   

Alla morte del concorso: “Ma davvero? La notizia è confermata?”, Lucherini non crede. Un po’ perché ha incontrato da vicino i Mirigliani: “Gente in gamba, testarda, incapace di mollare” e un po’ perché nonostante i rivolgimenti, il concorso ha segnato la curva di un’esistenza da copertina: “C’erano personaggi memorabili inseriti in un contesto che visto con occhi contemporanei fa quasi tenerezza. Angela Abruzzino, una concorrente, rifiutò il bikini con alata motivazione: ‘Ho uno zio Monsignore, temo di essere scomunicata’. Poi in passerella planavano ragazze come Sophia Loren e il sentiero di Miss Italia si legava indissolubilmente alla carriera di un’attrice. Sophia è stata l’ultima grande diva che abbiamo avuto. Non c’è profilo che possa sostituirla. Io aspetto Kasia Smutniak. Può darsi che tra due anni si esca di casa per vedere il suo ultimo film, come accadeva per la Loren. Lo dico per intuito. Non la conosco per niente, ma ammetto: mi piace assai”.

Sull’apparente declino di un’idea che legava ingenuità e malizia, kitsch e pop, sguardi torbidi e innocenza, Lucherini ha le idee chiare: “È svanito il mistero e dietro ai volti in rassegna, fatichi a distinguere le ragazze. Tra loro si somigliano un po’ tutte. Visagisti, parrucchieri e truccatori tendono a una bellezza standard e replicano più o meno tutti lo stesso modello. Il Botox di qua, il seno di giù, il seno di su. Vedi stuoli di venticinquenni in gara e hai l’impressione che siano ricorse alla chirurgia estetica in tenera età. Non mi piace. Alle facce rifatte o immobili, preferisco le rughe degnissime di Claudia Cardinale o di Monica Guerritore”.

Nell’universo lontano che descrive Lucherini, Salsomaggiore e le miss fasciate dalla provenienza regionale, avevano un’aura mistica. “Si sapeva costruire l’evento con i mezzi d’allora e con uno show business per certi versi irripetibile. Addirittura si disse che Sophia Loren fosse rimasta incinta grazie alle particolari virtù taumaturgiche delle terme. Un’enormità. Quasi una Lucherinata, che avrei potuto inventare io se solo fossi stato attivo all’epoca. Adesso c’è meno fascino, ma non esiste annata in cui nella serata finale non corra a vedere chi ha vinto. Certo non sfilano più Silvana Mangano o Gianna Maria Canale, ma è sempre molto meglio vedere uno splendore in costume che quattro mostri sudati che cucinano. In Italia ormai sono tutti ai fornelli. Accendi la tv di mattina e trovi i soffritti. Apri una finestra nel pomeriggio e incontri i dolci. Anche di notte è tutto un bollire di salse. Dio ci scampi”. Breve pausa: “Se davvero Miss Italia finirà, faranno festa gli intellettuali. Sempre stati ostili.   

Anni fa andai in giuria e accompagnai Miriam Leone, una delle ragazze vincitrici, in visita da qualche regista. Tutti con la puzza sotto al naso. Terrorizzati dalla contaminazione. Allora non capisco. Gli attori presi dal Grande Fratello, dall’Isola dei famosi o da una brutta fiction vanno bene e da Miss Italia no? Ma perché? Forse il problema è che non hanno fatto l’Accademia? Aspetto ancora che arrivi un Michelangelo Antonioni capace di scegliere Lucia Bosè e di scrivere per lei Cronaca di un amore. Forse all’inizio non era una brava attrice, ma a forza di schiaffi e lei ne prese tanti sia con Antonioni che con Citto Maselli ne Gli sbandati, divenne un’interprete vera”. Pausa: “Aspetto e non spero troppo. Se il concorso morisse mi dispiacerebbe, in ogni caso meglio l’eutanasia che l’accanimento. Se non ci può essere Miss Italia, meglio il nulla. Con le sagre del muretto o le elezioni di Miss Padania abbiamo già dato”.

Da Il Fatto quotidiano del 24 aprile 2013

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