Le auto e i motorini corrono veloci lungo le tre corsie per ciascun verso della via Casilina. Non ci si può distrarre più di tanto in questo lungo tratto nel quale la strada, prima di raggiungere via Palmiro Togliatti, si allarga. Se capita un’occhiata al verde del parco di Centocelle oppure ad uno dei grandi cartelli pubblicitari che svettano sul lato opposto della strada. Dove si continua a costruire. Come dimostra una grande gru che insiste in un lotto nel quale accanto ai nuovi edifici si alza una montagna di terra smossa nella quale sono anche materiali antichi. Sul cancello all’ingresso del cantiere si legge “Qui Piperno vende. App. vari tagli”. Porta Maggiore e la Roma migliore non sono lontane. Lo è anche di meno il Pigneto. Qui la peggiore urbanistica romana ha imperversato. Senza regole e in assenza di progetti seri. Una volta tramontato il sogno dello Sdo. Casette fronte strada, nate spontaneamente e più avanti e più all’interno grandi palazzi. Stradine e grandi viali si diramano dalla via sul lato opposto al Parco. Disegnando un quadrante di Città al quale la promessa della metropolitana non potrà restituire la dignità mai avuta.

Al centro della via Casilina, tra i due sensi di marcia, ci sono i binari in basso e i tralicci in alto della Roma-Giardinetti. La linea ferroviaria da Roma Laziali a Pantano, di proprietà regionale, la cui gestione è affidata all’Atac. Il trenino che soprattutto al mattino e poi la sera trasporta le centinaia di persone che si spostano verso il centro. Uscendo da Roma, poco prima della stazione di Centocelle, il percorso dei binari, che fino a quel punto corre parallelo, si allarga per un tratto di almeno un centinaio di metri. Per poi ritornare, quasi in coincidenza delle pensiline della stazione, nuovamente parallelo. Così da perimetrare una sorta di isola allungata. Il perché di questa anomalia del tracciato?
Un quesito quasi insolubile. Osservando distrattamente all’interno di quello spazio. Camminando lungo la via Casilina, quasi attaccati ai guard rail che delimitano la strada, facendo attenzione a non essere travolti dal passaggio dei mezzi. Sperando che proprio in quel momento non passi il trenino giallo. A fatica si notano i resti di alcune strutture romane. Una, quella più vicina alla stazione, è conservata per poco nell’alzato in opera reticolata. Mentre è visibile per intero la fondazione, ormai quasi completamente fuori terra. La precarietà nella quale si trova dimostrata dalla difficoltà con la quale se ne può riconoscere la forma. Prima, un’altra struttura sulla quale c’è da tempo immemorabile una recinzione “provvisoria” di cantiere. Forse il segnale di un cedimento. Sulla spalletta laterale dello spazio archeologico, nel lato verso il parco ci sono dei blocchi di calcare, di forme e dimensioni differenti. Presumibilmente parte del rivestimento di questi edifici. Che sembra più che probabile identificarsi in tombe. Come indizia anche la loro localizzazione. In prossimità della via Labicana, della quale la Casilina ricalca il percorso. Notizie sul posto che esulino dalla visione autoptica non se ne possono avere. Manca qualsiasi tipo di pannello con qualche indicazione su quell’ammasso di pietre. Né, d’altra parte, è possibile osservare più da vicino quei resti antichi. L’area è di proprietà dell’Atac. L’accesso è vietato, anche perché evidentemente pericoloso.

Pochi resti, certo. Però destinati alla distruzione. Perché non tutelati e non valorizzati. Sostanzialmente interdetti alla conoscenza. Strutture lasciate deperire. Forse davvero in attesa che si distruggano del tutto. Siano cancellate. Peraltro in un settore della Città nel quale l’archeologia continua a rimanere lasciata a sé stessa. Quasi negata. Come accade non altrimenti ad un altro sepolcro. Non lontano da qui. Ai margini del Parco Labicano. Una struttura identificabile più che altro da un gazebo in ferro dei primi del Novecento, che è visibile al di sopra di esso. Ancora privo di qualsiasi manutenzione. Oltre che di qualsivoglia indicazione. Spostandosi sulla via Prenestina il discorso non cambia, la tragica realtà analoga. A piazzale Preneste, al centro della piazza, nello spazio attiguo al piccolo parco giochi, un altro sepolcro. In opera laterizia, di piena età imperiale. Coperto da un tetto ligneo che mostra la sua antichità. Soprattutto che accoglie diversi dei tantissimi piccioni che abitano la zona. Per accorgersi della loro massiccia presenza basterebbe osservare le copiose deiezioni che ricoprono le pareti in alto della struttura. Intorno al monumento cresce spontanea la vegetazione. Da tempo a quel che si vede. Almeno qui è possibile dare un’occhiata da vicino alla struttura sepolcrale. E’ sufficiente spostare la recinzione che vi hanno realizzato intorno i cittadini e il comitato A.U.D.L.P., nel tentativo di salvaguardarlo. Come si legge nel cartello legato con il fil di ferro alla rete di recinzione.

Storie differenti di piccoli monumenti dell’antichità. Di tombe. Poco appariscenti rispetto alle grandi ville. Alle imponenti strutture. Che c’erano e, in alcuni casi, ancora ci sono. Storie tuttavia significative. Esemplificative. Del disinteresse di gran parte delle istituzioni. Colpevoli più di ogni altra cosa di dare l’impressione di osservare inermi la rovina di quel che abbiamo. Rovina alla quale non sempre può essere un efficace contrasto il generoso intervento dei cittadini. Che peraltro, come a Centocelle, non sempre è possibile.

 

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