Si è avverata la profezia del mio romanzo Habemus papam, Francesco, riedito nel 2012 da Gabrielli Editori con il titolo «Habemus Papam. La legenda del papa che abolì il Vaticano». Il nome c’è già. Ora aspettiamo che abolisca il Vaticano. Le premesse ci sono, la primavera anche e Bertone e i suoi complici facciano le valigie.

Francesco è il nuovo vescovo di Roma, e di conseguenza, papa della Chiesa cattolica. Avevo cominciato a scrivere questo pacchetto dedicato alle elezioni italiane e alle sue conseguenze, martedì 12 marzo, ma mi attardavo in attesa dell’elezione del papa che finalmente è arrivata. Sentivo che mercoledì 13 sarebbe stata la giornata giusta. Se fossero stati due o tre scritini, sarebbe stata la vittoria della curia, con l’elezione  di Scola o di Scherer. Invece se si fosse arrivato al quarto o quinto scrutinio, la curia avrebbe perso terreno e avrebbe preso corpo un’altra possibilità. Così è stato.

Quando ho visto che il quinto diventava più lungo, ho capito che la scelta sarebbe caduta su un nome nuovo, senza legami con la curia (Scola) e il partito dello Ior (Scherer). Per tutto il giorno mi ronzava in cuore il nome del mio romanzo Habemus papam, «Francesco». Dicevo a me stesso: non è possibile! E’ un nome «maledizione», troppo impegnativo. Se il papa sceglie questo nome si condanna da sé a fare sul serio perché deve scegliere la povertà come criterio e metodo di vita; deve essere coerente: come può Francesco abitare in mezzo al lusso Vaticano? Può il papa essere «personalmente» povero, ma apparire «istituzionalmente» potente e ricco? Non licet!  Ora non ci resta che aspettare. Intanto colpiscono alcune cose, che ai profani non saltano agli occhi perché non addentro alla simbologia e al rituale. Facciamo un po’ di esegesi di scavo:

1. Francesco si è presentato «nudo» con la semplice veste bianca, senza mozzetta rossa e senza stola, i simboli del «papa» e del capo di Stato Vaticano. La stola era piegata e portata dal cerimoniere, quasi a stabilire le priorità: prima la persona, poi il vescovo, poi il papa, poi il capo si Stato.

2. L’immagine plastica dello «smarrito» cerimoniere, Guido Marini, genovese, tutto bardato di rossiccio, con un sorriso di circostanza, che guardava il papa con terrore, era la foto del cambiamento. Marini è stato l’artefice, anzi il complice di Ratzinger per riportare la Chiesa nel passato. Nel suo volto c’era lo smarrimento degli sconfitti tradizionalisti. Un buon inizio.

3. Il biglietto di visita di Francesco è stato un laicissimo «Buona sera!», rivolto ai «fratelli e sorelle».

4. Si è presentato non «al mondo», ma alla diocesi di Roma: «sono il vescovo di Roma». Ottimo!

5. Scandalizzando il cerimoniere che era fuori luogo e fuori posto, ha chiesto la benedizione al suo popolo, prima di dare la sua. Mai era avvenuto una cosa del genere.

6. Dopo 35 anni, per la prima volta, è risuonato in San Pietro, sulla bocca di un papa, il termine  «popolo» che era stato espunto dai documenti ufficiali di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

7. La croce che ha al collo è di ferro e non di oro. «Signa temporum!».

8. Anche al mattino del 14 marzo è andato a S. M. Maggiore senza abiti pontificali, ma col solo abito bianco. Come se volesse dire: farò il vescovo e il resto verrà da sé.

9. Il suo passato, lascia ben sperare: a Buenos Aires, viveva in un appartamento e andava a farsi la spesa da solo e la sera si preparava da mangiare da sé. Viaggiava in metro e non aveva la macchina. Piccole cose, certo, ma sono una rivoluzione all’interno di un sistema di peccato come il Vaticano che ormai era la fornace degli scandali di ogni ordine e grado.

10. Infine, un papa latinoamericano, è una svolta nella storia della Chiesa: finisce la Chiesa italiana, eurocentrica e comincia la Chiesa universale, la Chiesa della periferia, la Chiesa dei poveri, nella speranza che inizia anche l’era di una Chiesa povera.

Il papato di Ratzinger è stato solo una parentesi quadra che ha fatto perdere otto anni di tempo. Ora speriamo che abbia la forza di fare piazza pulita, cominciando a dare un segno, chiamando in Vaticano, magari facendolo segretario di Stato, mons. Carlo Maria Viganò, quello che Bertone ha esiliato negli Usa perché aveva scoperto la corruzione con nome e cognome dei quaranta ladroni bertoniani  & C. La primavera comincia con il primo fiore. Sperare è possibile! Rileggere «Habemus papam» è ancora più emozionante e terrificante.

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