Quando dico che lavoro per Greenpeace tutti mi immaginano con un caschetto in testa, attaccata a una fune o su un gommone in mezzo all’Oceano. Anche quando riesco a organizzare una riunione con un’azienda per presentare le nostre richieste, negli occhi dei top manager c’è sempre una nota di stupore. Sarà che mi aspettavano anche loro in tuta da attivista pronta a scalare il loro quartier generale?

Anche se mi piacerebbe indossare un caschetto ogni tanto e unirmi ai nostri eroici attivisti che non hanno paura di stare in prima linea per difendere le nostre foreste, l’acqua pulita e il clima del nostro Pianeta, quello che faccio io per Greenpeace, come tanti altri miei colleghi in giro per il mondo, è il corporate campaigning.

Se parliamo di foreste è ormai un dato di fatto che vengano distrutte per essere convertite in beni di largo consumo: legno, olio di palma e polpa di cellulosa in Congo e in Indonesia o carne e pelle in Amazzonia. Ed è lì che è necessario intervenire per dare a questi preziosi ecosistemi una possibilità di sopravvivere. Lo stesso può dirsi per emergenze ambientali come l’inquinamento delle risorse idriche globali nel Sud del mondo a causa dell’uso indiscriminato di sostanze tossiche per la stampa dei tessuti utilizzati per fabbricare i nostri vestiti.

Quando nel 2009, a seguito di un incredibile lavoro di indagine, Greenpeace ha pubblicato il Rapporto “Amazzonia che Macello sono state tantissime le aziende che a seguito delle nostre denunce hanno aderito alla Moratoria sull’allevamento bovino in Amazzonia. Qui in Italia, la prima a farlo con grande slancio è stata Gucci. L’azienda non soltanto ha deciso di mettere in atto tutte le misure necessarie per non correre il rischio di diventare parte del problema ma ha lavorato in questi anni insieme a noi e altre organizzazioni per diventare parte della soluzione. E la soluzione adesso è diventato un prodotto.

Questa settimana, infatti, Gucci ha lanciato la mini-collezione “Gucci for the Green Carpet Challenge“, composta da tre delle sue borse-icona, fra cui la Hobo e la New Jackie, riproposte in una versione realizzata con pellami provenienti da fattorie e allevamenti dell’Amazzonia certificati “a deforestazione-zero“. Con questi prodotti l’azienda dimostra che produrre in maniera sostenibile, anche in Amazzonia, sia non solo possibile ma un’opzione per tutti.

Siamo felici di vedere un’azienda italiana impegnarsi in maniera così concreta ma la filiera della pelle non è l’unica problematica per le case d’alta moda. 

Per questa ragione all’inizio di febbraio abbiamo sfidato 15 case d’alta moda con la nostra campagna thefashionduel.com chiedendo loro di ripulire le proprie filiere dalla deforestazione e dalle sostanze tossiche. Finora solo Valentino ha accettato la sfida per una moda più pulita impegnandosi a seguire politiche di acquisto per la carta e la pelle a deforestazione zero e a scarichi zero per la produzione dei tessuti.

Anche Gucci è stata valutata nel nostro ranking e nel corso delle ultime settimane ci siamo rincontrati e sappiamo che l’azienda sta lavorando alacremente per poter comunicare a noi ma soprattutto ai nostri consumatori l’impegno per l’eliminazione delle sostanze tossiche.

Ci auguriamo – e un po’ ce lo aspettiamo – che uno dei più importanti trend setter dello stile al mondo deciderà presto di prendere parte alla rivoluzione della moda richiesta dai consumatori.

Tutti noi abbiamo il diritto di sapere cosa c’è nella nostra acqua ed esigere che i nostri vestiti non siano contaminati da sostanze tossiche. Gucci adesso ha la possibilità di continuare l’ottimo lavoro fatto finora, chiudere il cerchio e diventare il leader dello stile pulito, elegante e consapevole che tutti noi ci aspettiamo di vedere. In più 36 mila l’hanno già chiesto a Gucci e alle altre case d’alta moda. Entra in azione anche tu su www.thefashionduel.com e invia alle aziende un messaggio chiaro e deciso: Let’s clean up fashion!

di Chiara Campione: responsabile progetto The Fashion Duel 

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