La carne di cavallo nelle lasagne, i colibatteri nelle torte al cioccolato dell’Ikea, il Cesio 137 nei cinghiali della Valsesia, ora il veleno per topi nell’insalata. Il nuovo allarme alimentare parte questa volta dalla Germania dove le autorità stanno indagando dopo che in una partita di insalata romana importata dall’Italia è stato trovato appunto del veleno per topi. L’insalata fa parte di un gruppo di 110 cassette vendute nella zona di Reno-Meno, nel sud ovest del Paese: 105 sono state distrutte mentre delle cinque che mancano all’appello e una sarebbe già stata venduta in un mercato della cittadina di Offenbach, mentre altre quattro sono già state smerciate ai consumatori da venditori ambulanti. Per ora non si hanno notizie di avvelenamenti. L’agenzia Dpa scrive che il commerciante tedesco all’ingrosso Oezdemir di Francoforte ha ritirato tutte le insalate del produttore “Ortofrutticola La Trasparenza“.

Il Codacons chiede alle autorità sanitarie del nostro paese di “attivarsi con urgenza a tutela della salute dei cittadini”. In particolare l’associazione chiede di “verificare se l’insalata prodotta dall’azienda italiana coinvolta nella vicenda sia commercializzata anche in Italia, e nel caso svolgere le dovute analisi per accertare eventuali contaminazioni”. Per il Codacons i controlli devono essere estesi, verificando la provenienza della materia prima e tutti i passaggi di filiera, in modo da determinare le cause della presenza del veleno sull’insalata e soprattutto se vi siano altre partite potenzialmente contaminate. “Oramai c’è uno scandalo alimentare al giorno – commenta il presidente Carlo Rienzi – segno evidente di come si debba intervenire e con urgenza sul fronte della sicurezza alimentare, con norme in grado di dare più garanzie ai consumatori ma soprattutto di tutelare la salute umana”.

Intanto una circostanza analoga turba la spesa dei francesi, anche se in questo caso non sembrano esserci particolari conseguenze per i consumatori italiani: un topo morto è stato trovato in un barattolo di fagiolini verdi di Carrefour. Il fornitore, spiega Le Parisien, è una piccola azienda francese.

Venezia, già venduti i molluschi contenenti cadmio
E’ partita un’inchiesta invece sulle cappesante e gli altri molluschi (bulli) contenenti tracce di cadmio, un metallo pesante altamente tossico, venduti al mercato del pesce di Chioggia (Venezia) da una decina di pescatori che ieri sono stati denunciati dai carabinieri. I militari dell’Arma, scoprendo il raggiro dei molluschi pescati in acque vietate ma marchiati come se il prelievo fosse avvenuto in acque sane, hanno potuto risalire alla frode dei 10 pescherecci chioggiotti quando questa era già avvenuta. Il problema è che tutti i molluschi sono già finiti al consumatore finale.

Sono stati i tracciati radar dei viaggi compiuti dalle barche a spiegare che cappesante e molluschi provenivano non dalle dalla zona di laguna di competenza dell’Usl di San Donà di Piave (Venezia), bensì dalle acque inquinate di un’area vicina alle foci dei fiumi a Porto Tolle, sul Delta del Po (Rovigo). I pescatori – stando ai tracciati radar visionati dagli investigatori – avrebbero raccolto cappesante e ‘bullì anche in acque internazionali, commettendo un’ulteriore frode: perché il pescato in questo caso non segue la trafila di quello proveniente da acque interne, ma deve passare al vaglio di centri sanitari specializzati.

Non c’è modo di capire quali quantità di molluschi vietati siano finiti sul mercato. In quelli esaminati, tuttavia, la percentuale di cadmio era piuttosto alta, al punto che le autorità sanitarie – hanno ricordato i carabinieri – erano state costrette a disporre immediatamente lo stop alla pesca nella zona di San Donà, salvo capire con le analisi fatte il mese successivo, che il problema cadmio era del tutto assente. Quindi quei molluschi “al cadmio” dovevano provenire da qualche altra parte. Per aver indotto la chiusura dell’area di pesca inizialmente sospettata dell’inquinamento i 10 pescatori, oltre che di frode in commercio e falso in atto pubblico, dovranno rispondere anche di procurato allarme.

Cinghiali con Cesio 137, l’Arpa: “Nessuna ipotesi diversa da Chernobyl”
L’Arpa esclude l’ipotesi di contaminazioni diverse dall’incidente di Chernobyl per le tracce di Cesio 137 trovate nei cinghiali abbattuti in Valsesia poiché “non ci sono stati eventi anomali negli ultimi anni” emersi dal “costante monitoraggio in continuo dell’aria”. L’agenzia effettuerà “una campagna di approfondimento radiometrico di natura ambientale dell’area, con particolare riferimento ai suoli e ai vegetali”. Inoltre, “sono in corso approfondimenti tecnico-scientifici” per valutare quale dose di contaminazione possa essere stata trasferita alle persone.

Selvaggina, funghi e frutti spontanei del sottobosco sono più sensibili all’accumulo di Cesio, ricorda l’agenzia regionale per la protezione ambientale che rassicura sul consumo di altri cibi: “Tutti gli altri alimenti che compongono la dieta tipo della popolazione, – si legge in una nota – che sono monitorati dall’Agenzia mediante un programma di campionamento annuale coordinato da Ispra, hanno fornito sempre valori ampiamente al di sotto dei limiti”.

Il comprensorio della Valsesia fa parte di una delle zone più colpite dalla ricaduta del materiale radioattivo dovuto all’incidente di Chernobyl: è quanto si può dedurre dalla mappa stilata dopo il disastro dall’Unscear, il comitato scientifico Onu sugli effetti della radiazione atomica.

L’Arpa della Valle d’Aosta, intanto, in accordo con l’Istituto zooprofilattico, avvierà un monitoraggio sulla presenza di Cesio 137 su un campione di animali selvatici presenti nella regione. “Dal serrato monitoraggio che l’Arpa valdostana – spiega Manuela Zublena, assessore regionale all’ambiente – effettuata da anni sull’acqua, terreno, erba, muschio, latte e miele non sono mai emersi valori di rilevanza radioprotezionistica, ora alla luce di quanto emerso in Valsesia abbiamo deciso di estendere i controlli anche agli animali”.

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